La guerra dei cervelli: l’H-1B diventa un lusso da 100mila dollari l’anno

RedazioneRedazione
| 20/09/2025
La guerra dei cervelli: l’H-1B diventa un lusso da 100mila dollari l’anno

Una tassa da 100.000 dollari l’anno per ogni lavoratore straniero: l’amministrazione Trump rivoluziona il programma H-1B, tra applausi populisti e panico nella Silicon Valley. Il rischio? Trasformare l’America da calamita globale per i talenti a terreno sterile di protezionismo miope.

Era un venerdì pomeriggio qualunque quando la notizia è esplosa come una scossa nella Silicon Valley. Una tassa annuale da 100.000 dollari per ogni visto H-1B: il colpo più duro mai inferto al programma che ha portato negli Stati Uniti migliaia di ingegneri, programmatori e scienziati dall’India, dalla Cina e dal resto del mondo. Mentre la Casa Bianca rivendica di voler proteggere i posti di lavoro americani, nelle sedi di Microsoft, Amazon e JPMorgan scatta l’allarme: senza talenti globali, il cuore pulsante dell’innovazione rischia di fermarsi.

Un attacco diretto al cuore della Silicon Valley

L’annuncio segna il più radicale cambio di rotta nella politica migratoria americana degli ultimi decenni. Non si tratta di una semplice revisione amministrativa: è un colpo diretto a un meccanismo che ha reso l’America il centro mondiale dell’innovazione. Il programma H-1B ha permesso a milioni di lavoratori altamente qualificati di contribuire alla crescita economica, all’avanzamento tecnologico e al primato scientifico degli Stati Uniti.

Secondo l’annuncio riportato, la nuova tassa sugli H-1B da 100.000 dollari l’anno entrerebbe in vigore a partire dalla mezzanotte di sabato (le 04:00 GMT di domenica).

Imporre un prezzo da capogiro equivale a trasformare il visto in un privilegio per pochi, tagliando fuori startup, medie imprese e laboratori di ricerca che non possono permettersi cifre simili. In pratica, una barriera che protegge il lavoro locale ma rischia di azzoppare la competitività globale.

Le big tech in stato di allerta

La reazione delle grandi aziende è stata immediata. Microsoft, Amazon e JPMorgan hanno inviato comunicazioni interne invitando i dipendenti con visto H-1B a non viaggiare all’estero e, se già fuori dagli Stati Uniti, a rientrare immediatamente prima che la misura entrasse in vigore.

Per colossi che dipendono da migliaia di lavoratori stranieri altamente qualificati – solo Amazon e AWS hanno ricevuto oltre 12.000 approvazioni H-1B nel 2025 – la prospettiva di un nuovo onere da miliardi di dollari rappresenta non solo un ostacolo economico, ma una minaccia alla continuità delle proprie attività.

La retorica del protezionismo

Dietro la decisione c’è una narrativa politica ben collaudata. Il segretario al Commercio Howard Lutnick ha spiegato: “Se devi formare qualcuno, forma i nostri laureati. Basta portare persone da fuori per rubarci i posti”. È un messaggio che parla direttamente alla base elettorale di Trump, sensibile alla paura di vedere minacciati i propri posti di lavoro.

Eppure, gli H-1B non sono mai stati semplicemente un modo per abbassare i salari – come sostengono i critici –, ma uno strumento per coprire vuoti di competenze in settori strategici come scienza, tecnologia, ingegneria e matematica.

Talento globale sotto assedio

Gli effetti si annunciano devastanti soprattutto per i paesi più rappresentati: India e Cina. Nel 2024, l’India ha contato il 71% dei titolari di visto H-1B, la Cina quasi il 12%. Tagliare questi flussi significa intaccare non solo la vita di migliaia di professionisti, ma anche i rapporti geopolitici con due partner fondamentali – e rivali diretti – nella corsa tecnologica globale.

Non a caso, i mercati hanno reagito con nervosismo: Cognizant ha perso il 5% in Borsa, mentre le azioni di colossi indiani come Infosys e Wipro hanno ceduto tra il 2% e il 5%.

AI e innovazione: il prezzo di una scelta

Il provvedimento arriva in un momento cruciale: quello della corsa all’intelligenza artificiale. In un contesto in cui gli Stati Uniti si contendono la supremazia con la Cina, mettere barriere all’ingresso dei migliori ingegneri e scienziati stranieri equivale a indebolire la propria posizione.

Come ha osservato l’analista Jeremy Goldman: “Nel breve termine Washington incasserà miliardi; nel lungo, rischia di tassare via il vantaggio competitivo dell’America, scambiando dinamismo con protezionismo miope”. Una diagnosi spietata che fotografa il rischio reale: quello di rallentare l’innovazione proprio mentre la competizione globale accelera.

Il nodo della legittimità

C’è poi il tema della legalità. Aaron Reichlin-Melnick, policy director dell’American Immigration Council, ha ricordato che il Congresso ha autorizzato il governo a fissare tariffe solo per coprire i costi amministrativi delle pratiche. Una tassa da 100.000 dollari l’anno sembra più un balzello politico che un aggiustamento burocratico. La misura rischia, quindi, di essere impugnata nei tribunali, aprendo l’ennesima battaglia legale sul terreno già incandescente dell’immigrazione.

La “gold card”: un’America per ricchi

Parallelamente, Trump ha firmato un ordine esecutivo per introdurre la cosiddetta “gold card”: la possibilità di ottenere la residenza permanente americana pagando un milione di dollari. È la fotografia di una nuova filosofia migratoria: chi è povero o viene per lavorare è ostacolato, chi è ricco e può investire è il benvenuto. Un’America selettiva, dove l’immigrazione non è più vista come motore di crescita collettiva, ma come privilegio acquistabile.

L’America davanti a un bivio

La tassa sugli H-1B non è solo un provvedimento tecnico: è un simbolo. Simbolo di un Paese che, nel tentativo di proteggere il lavoro domestico, rischia di minare le fondamenta del proprio successo globale.

Per decenni, gli Stati Uniti sono stati la calamita dei talenti, la terra promessa per scienziati, ingegneri e imprenditori. Dal microchip a Internet, dal biotech all’IA, gran parte delle rivoluzioni tecnologiche è nata da menti arrivate qui grazie a programmi come l’H-1B.

Alzare muri significa scegliere la strada del protezionismo, ma anche rinunciare a una parte del proprio futuro. Perché, in un mondo sempre più interconnesso, nessun Paese può guidare l’innovazione isolandosi dai talenti del resto del pianeta.

Il rischio è che l’America, da culla dell’innovazione globale, si trasformi in un laboratorio di protezionismo miope, sacrificando la propria leadership sull’altare di un consenso immediato.

La domanda ora è inevitabile: può davvero un Paese restare leader mondiale se decide di tassare l’ingegno che lo ha reso grande?

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