Lo switch-off obbligatorio del rame? La regolazione sbagliata al momento sbagliato

| 19/09/2025

L’Europa ha molti problemi in materia di politiche digitali: carenza di capitali, mercati frammentati, copertura rurale irregolare. Quello di cui non ha bisogno è un nuovo intervento dirigista da Bruxelles. Eppure è esattamente ciò che si sta valutando nel contesto del prossimo Digital Networks Act: un termine obbligatorio e vincolante a livello UE per lo spegnimento delle reti in rame.

L’idea viene presentata come una modernizzazione coraggiosa. In realtà è una scorciatoia regolatoria: costosa, invasiva e inutile. Lungi dall’accelerare la diffusione della fibra, rischia di frenare gli investimenti, penalizzare i cittadini e mettere in luce la persistente inclinazione dell’UE al dirigismo.

L’assunto di base è che senza coercizione gli europei resteranno attaccati al rame all’infinito. È una finzione. In Spagna, la fibra oggi copre oltre il 90 per cento delle famiglie, uno dei tassi più alti al mondo. Il rame è stato progressivamente dismesso senza diktat di Bruxelles. Investimenti, concorrenza e scelta dei consumatori — non imposizioni — spiegano il successo spagnolo. Anche altrove in Europa l’adozione segue lo stesso schema: quando la fibra è realmente disponibile, affidabile e a prezzi accessibili, i clienti migrano spontaneamente. Una scadenza imposta non risolve nulla; serve solo ad aggiungere costi laddove la domanda non è ancora matura.

Uno switch-off obbligatorio è, di fatto, una tassa occulta. Le regioni rurali o a bassa densità, dove la posa della fibra è più lenta e più costosa, sarebbero costrette a pagare di più per servizi che né hanno richiesto né di cui hanno immediato bisogno. Non è un balzo digitale in avanti, ma un onere regressivo, imposto in nome del progresso ma pagato da chi è meno in grado di sostenerlo.

La proposta mina inoltre due pilastri del quadro digitale europeo: la sussidiarietà e la fiducia degli investitori. I regolatori nazionali, che conoscono in dettaglio i propri mercati, sono i più adatti a stabilire i tempi dello spegnimento del rame. Una scadenza imposta da Bruxelles li priverebbe di questa discrezionalità, inviando al contempo un segnale preoccupante agli investitori: le regole europee non sono stabili, ma soggette a scadenze arbitrarie e scorciatoie politiche. Oggi il rame, domani forse il 5G, il cloud o i data centre. In un momento in cui l’Europa fatica ad attrarre capitali per le reti di nuova generazione, è esattamente il segnale sbagliato.

La contraddizione è lampante. Bruxelles invoca una nuova era di deregolamentazione per liberare gli investimenti. Ma allo stesso tempo contempla una delle misure più intrusive immaginabili: decretare per legge l’estinzione di un’intera tecnologia. Non è semplificazione, è teatro regolatorio. E mina la credibilità dell’Europa proprio quando essa deve invece ricostruirla.

La Spagna fornisce il controesempio più chiaro. La sua penetrazione della fibra è tra le più alte in Europa, e il rame è già stato in gran parte dismesso. I fattori determinanti sono stati la concorrenza, la domanda dei consumatori e gli investimenti sostenuti, non la volontà del governo. Dove le condizioni sono favorevoli, i mandati sono superflui. Dove non lo sono, diventano dannosi.

L’Europa non ha bisogno di scadenze imposte dall’alto. Ha bisogno di condizioni che rendano la fibra la scelta ovvia: incentivi mirati, una strategia industriale coerente, sostegno alle aree meno servite e un clima regolatorio che attragga, anziché scoraggiare, i capitali. La fibra deve affermarsi perché è più veloce, più economica e migliore — non perché i cittadini sono costretti a utilizzarla.

Uno switch-off obbligatorio del rame inserito nel Digital Networks Act non è un passo avanti coraggioso. È un errore. Se la Commissione europea vuole davvero accelerare il progresso digitale, deve smettere di regolamentare per apparenza e iniziare a governare per risultati.

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