OpenAI e Harvard firmano la prima ricerca su larga scala: più tempo libero che lavoro, utenti sempre più trasversali e una crescita accelerata nei Paesi emergenti. L’AI non sostituisce, ma cambia il nostro modo di pensare e agire.
ChatGPT non è più confinato alle scrivanie dei professionisti o agli uffici tecnologici: entra in casa, nel tempo libero, nella routine quotidiana. Secondo uno studio appena pubblicato da OpenAI e dal National Bureau of Economic Research insieme a un gruppo di economisti di Harvard, il 73% dei messaggi inviati al chatbot riguarda ormai attività non lavorative, rispetto al 53% dell’anno precedente.
Il cambiamento è più di un dettaglio statistico. Significa che l’AI non viene percepita soltanto come un mezzo per aumentare la produttività, ma come un compagno digitale integrato nella vita di tutti i giorni. Aaron Chatterji, Chief Economist di OpenAI, lo ha sintetizzato così: “Stiamo ancora imparando come le persone usano l’AI nella vita reale, ma questa tendenza ci mostra dove sta andando il valore.” Una frase che fotografa bene la svolta: l’AI non è più un esperimento, ma un’abitudine.
I casi d’uso: tra guida pratica e scrittura
La ricerca ha classificato tre macro-aree che raccolgono i tre quarti delle conversazioni: guidance pratica, ricerca di informazioni e scrittura.
- La guidance pratica è il caso d’uso più diffuso. Gli utenti chiedono a ChatGPT di spiegare concetti scolastici, fornire istruzioni su come fare qualcosa, o generare idee creative. È un indizio importante: l’AI sta sostituendo manuali, tutorial e persino il consiglio di amici o colleghi.
- La scrittura è centrale soprattutto nell’ambito lavorativo, dove rappresenta circa il 40% delle conversazioni. Sorprende, però, la natura delle richieste: due terzi riguardano editing, traduzioni e revisioni, non la creazione di testi ex novo. ChatGPT si comporta quindi più da editor e consulente linguistico che da autore, confermando che gli utenti vogliono migliorare ciò che già producono.
- La categoria “Asking” (chiedere) raccoglie circa la metà dei messaggi. Questo dato è cruciale perché mostra che ChatGPT viene usato soprattutto come advisor, non come esecutore cieco. Nel contesto lavorativo, invece, prevale la categoria “Doing”, cioè il completamento diretto di compiti, che rappresenta il 56% delle interazioni.
Questi dati ribaltano un pregiudizio diffuso: l’AI non è soltanto una macchina che fa al posto nostro, ma un amplificatore delle capacità umane, capace di rendere più rapidi, precisi e creativi i processi già in atto.
Non una minaccia, ma un moltiplicatore
Da mesi il dibattito pubblico si concentra sulla possibilità che l’AI sostituisca milioni di posti di lavoro. Eppure i dati dello studio raccontano un’altra storia: ChatGPT, almeno nella sua versione consumer, funziona come supporto cognitivo e non come rimpiazzo.
Certo, il rischio di automazione resta e riguarda settori specifici. Ma la fotografia che emerge oggi è più sfumata: l’AI migliora la produttività, potenzia le capacità di giudizio, riduce il carico di lavoro nelle mansioni ripetitive. È un pattern che ricorda l’introduzione dei fogli di calcolo negli anni ’80: non eliminarono i contabili, ma ne rivoluzionarono il mestiere, elevandone il valore e moltiplicandone l’efficienza.
Chi usa ChatGPT: una mappa globale
Il dato forse più impressionante riguarda la crescita trasversale della base utenti. Ad agosto 2025, il 10% della popolazione adulta mondiale aveva già utilizzato ChatGPT. Non solo: la distribuzione di genere, inizialmente sbilanciata, si è riequilibrata. Se a inizio 2024 solo il 37% degli utenti aveva nomi femminili, a metà 2025 la parità è quasi raggiunta.
Ma è soprattutto sul fronte geografico che lo studio sorprende: l’adozione nei Paesi a basso reddito cresce quattro volte più velocemente rispetto a quella delle economie avanzate. È un segnale potente: l’AI non resta confinata nei centri tecnologici d’élite, ma diventa strumento universale, con un potenziale enorme per l’educazione, la formazione e l’accesso all’informazione nelle regioni emergenti.
Un settore in fermento: la sfida Gemini e XAI
Il successo di ChatGPT non avviene in un vuoto competitivo. La concorrenza è sempre più serrata, con Google Gemini e XAI di Elon Musk pronti a guadagnare terreno. Proprio questa settimana, Gemini ha superato ChatGPT come app gratuita più scaricata sull’App Store, complice il lancio del modello “Nano Banana” per l’editing di immagini.
Questa competizione, però, non mina il ruolo di OpenAI: anzi, lo rafforza. Il mercato è entrato in una fase in cui nessun player può sedersi e la pressione competitiva diventa garanzia di innovazione. Oggi il futuro dell’AI non è scritto: le traiettorie di OpenAI, Google e XAI stanno contribuendo insieme a definire i contorni di un ecosistema tecnologico che avrà impatti ben oltre la Silicon Valley.
Oltre i numeri: l’AI come infrastruttura sociale
Lo studio non è ancora stato peer-reviewed e deve essere letto come un punto di partenza, non come un verdetto definitivo. Eppure offre un messaggio forte: ChatGPT non è più un “giocattolo digitale” o una curiosità da addetti ai lavori. È diventato un’infrastruttura sociale.
Come i motori di ricerca negli anni ’90 hanno ridefinito l’accesso all’informazione e i social media hanno trasformato le relazioni, l’AI generativa sembra destinata a incidere sulle abitudini quotidiane con la stessa profondità. La differenza è che questa volta la trasformazione non riguarda solo l’informazione o la comunicazione, ma il modo stesso in cui pensiamo, scriviamo e prendiamo decisioni.
Il futuro si gioca nella quotidianità
Il vero dato che emerge non è soltanto la crescita degli utenti o la percentuale di messaggi non lavorativi. È che milioni di persone hanno già integrato l’AI nei piccoli gesti della vita quotidiana: chiedere un consiglio, correggere un testo, pianificare un’attività. È lì, nel micro, che si gioca la partita del futuro.
La sfida per OpenAI e i suoi concorrenti non sarà soltanto tecnica, ma culturale: mantenere la fiducia degli utenti, prevenire abusi, evitare che l’AI cada nelle stesse trappole che hanno segnato altre rivoluzioni digitali, dalla disinformazione al consumo passivo dei social media.
Se la traiettoria continuerà, ChatGPT e i suoi rivali diventeranno infrastrutture invisibili ma decisive della vita moderna. E la domanda non sarà più “se” useremo l’AI, ma “come” e “a quali condizioni”. È questa la frontiera critica da cui dipenderà non solo il futuro del lavoro, ma la qualità stessa della nostra vita digitale.