Un’indagine indipendente mette a nudo il tallone d’Achille della rete ferroviaria italiana: Frecciarossa in ritardo nel 31% dei casi, Intercity ancora più lenti e Italo solo marginalmente più affidabile. Altroconsumo chiede indennizzi automatici già dopo 15 minuti, ma la vera sfida riguarda la credibilità di un sistema che da “eccellenza europea” rischia di diventare un bluff.
L’Italia si racconta come la patria dei treni veloci: convogli futuristici che tagliano il Paese da nord a sud, collegando Milano a Roma in meno di tre ore e trasformando l’Alta Velocità in simbolo di modernità e orgoglio nazionale. Ma dietro lo storytelling patinato, la realtà scivola su binari molto meno rapidi. Altroconsumo ha passato al setaccio 54 tratte ferroviarie con oltre 28mila rilevazioni in 43 giorni di monitoraggio continuo. Il verdetto è netto: ritardi cronici, percorrenze allungate e passeggeri che pagano biglietti premium per un servizio che raramente mantiene ciò che promette.
Un sistema radiografato dai numeri
L’inchiesta di Altroconsumo ha evitato le statistiche edulcorate delle aziende, preferendo affidarsi a dati ufficiali, ma pubblici, monitorati in tempo reale sul portale live di RFI. La metodologia è semplice e trasparente: osservare ogni treno, ogni giorno, per oltre sei settimane.
Il risultato è una fotografia impietosa:
- Frecciarossa: 31% di corse in ritardo
- Italo: 20% fuori orario
- Intercity: 41% in ritardo, con punte superiori all’80% su alcune tratte.
Percentuali che ridimensionano il mito dell’efficienza ferroviaria italiana e mostrano come, al di là degli investimenti miliardari e delle campagne promozionali, la realtà quotidiana sia molto meno performante.

Alta Velocità, la promessa tradita
L’Alta Velocità è il fiore all’occhiello della rete italiana, ma i dati la inchiodano alle sue contraddizioni. La tratta Bari–Milano registra ritardi nel 70% dei casi; la Salerno–Torino supera il 50%. Persino la direttrice più celebrata, la Milano–Roma, mostra crepe: quasi un treno su cinque da Milano e uno su quattro da Roma viaggia fuori orario.
Ma la vera beffa è l’allungamento dei tempi medi di percorrenza. L’iconico “2 ore e 59 minuti” tra Milano e Roma, orgoglio delle campagne istituzionali di dieci anni fa, è oggi un miraggio. La media è salita a 3 ore e 20 minuti, con deviazioni frequenti che superano le 4 ore per cantieri e lavori. Una scelta che molti analisti leggono come una strategia per diluire statisticamente i ritardi, riducendo così le occasioni di rimborso.
Italo: più puntuale, ma non immune
L’ingresso di Italo nel mercato aveva promesso una rivoluzione, sfidando il monopolio di Trenitalia e introducendo dinamiche concorrenziali. I dati confermano una maggiore affidabilità: i suoi treni in ritardo sono circa il 20%, contro il 31% di Frecciarossa.
Ma la differenza non basta a parlare di servizio impeccabile. La tratta Napoli–Venezia segna il 40% di ritardi, la Reggio Calabria–Roma il 38%. Persino sulla Milano–Roma, Italo arranca: 15% di ritardi da Milano, 19% da Roma. In sostanza, il privato riesce a battere il pubblico nel confronto diretto, ma non a garantire l’eccellenza promessa.
Intercity: il grande malato del sistema
Se l’Alta Velocità arranca, gli Intercity crollano. Su 24 tratte monitorate, il 41% dei convogli è arrivato in ritardo, con picchi drammatici: Reggio Calabria–Salerno supera l’80% di ritardi, Lecce–Bologna e Roma–Taranto si attestano intorno al 60%.
Per milioni di pendolari e studenti, l’Intercity resta l’unica opzione accessibile. Ma la realtà è che questo servizio, pensato per garantire capillarità e collegamenti affidabili, è diventato il simbolo di un’Italia ferroviaria a due velocità: competitiva solo sulle tratte più ricche e abbandonata altrove.

Rimborsi: la beffa nella beffa
Oltre al danno, la beffa. Il regolamento europeo sui diritti dei passeggeri ferroviari prevede rimborsi solo per ritardi oltre i 30 minuti. Una soglia che esclude la maggioranza dei viaggiatori, costretti a subire ritardi di 15 o 20 minuti – spesso decisivi per chi ha coincidenze o appuntamenti di lavoro – senza alcuna compensazione.
L’analisi di Altroconsumo mostra come, abbassando la soglia a 15 minuti per l’Alta Velocità e a 30 per gli altri convogli, i passeggeri rimborsati sarebbero più del doppio. Una modifica semplice, che trasformerebbe il rimborso da eccezione a tutela concreta.

La battaglia politica: una petizione per cambiare le regole
Altroconsumo ha scelto di passare all’azione, lanciando una petizione per riformare il sistema di indennizzi. Le richieste sono chiare:
- 30% di rimborso dopo 15 minuti di ritardo sull’AV e 30 minuti sugli altri treni
- 50% di indennizzo dopo 30 minuti sull’AV e 60 minuti sugli altri convogli
- Rimborso integrale per ritardi oltre le due ore
- Accrediti automatici, senza burocrazia e con libertà di scelta tra voucher o denaro
Una rivoluzione che sposterebbe la responsabilità dalle tasche dei viaggiatori alle casse delle aziende ferroviarie, imponendo un cambio di mentalità prima ancora che di regole.
Il tempo come bene collettivo
La questione non è solo economica. In un Paese che ambisce a essere competitivo in Europa e a proporre il treno come alternativa sostenibile all’aereo, la puntualità non è un dettaglio: è un asset strategico. Ogni minuto perso su un binario equivale a produttività mancata, fiducia erosa, competitività indebolita.
I cittadini non pagano solo con biglietti costosi: pagano con il tempo, l’unica risorsa non rimborsabile. Un Paese che non sa rispettare il tempo dei suoi cittadini è un Paese che fatica a rispettare anche le proprie ambizioni di modernità.
Un’Italia ferma al palo
L’inchiesta di Altroconsumo smonta l’immagine patinata dell’eccellenza ferroviaria italiana. L’Alta Velocità è più lenta, gli Intercity sono in affanno e i rimborsi una chimera. La vera sfida non è solo abbassare le soglie di indennizzo, ma restituire al sistema ferroviario credibilità e affidabilità.
Perché un Paese che perde tempo sui binari rischia di perderlo anche sul futuro.