Una decisione senza precedenti che intreccia diritto dell’innovazione e politica industriale. La certificazione tecnica diventa nuovo campo di battaglia nella competizione globale tra Stati Uniti e Cina.
L’America non mette più solo dazi o restrizioni sui semiconduttori: ora a essere colpiti sono i laboratori che certificano la sicurezza dei dispositivi elettronici. Con la revoca del riconoscimento a sette centri di testing controllati da Pechino, la Federal Communications Commission (FCC) apre un fronte inedito della guerra tecnologica. Una scelta che ridisegna le catene del valore digitali e obbliga imprese e governi a confrontarsi con un nuovo scenario: la sicurezza nazionale entra direttamente nelle regole che legittimano l’innovazione.
Un cambio di rotta nella certificazione dei dispositivi elettronici
La decisione della FCC di avviare la revoca del riconoscimento a sette laboratori cinesi segna uno spartiacque. Non si tratta di un atto meramente tecnico, ma di un intervento che ridefinisce il perimetro della competizione tecnologica globale. Finora la certificazione era percepita come un passaggio neutrale, finalizzato a garantire la sicurezza funzionale dei dispositivi. Oggi diventa strumento di politica industriale e geopolitica. Senza l’autorizzazione FCC, un prodotto non può entrare nel mercato statunitense: ciò trasforma la norma in una barriera strategica, capace di influenzare flussi commerciali e decisioni di investimento.
Il nodo strategico dei laboratori in Cina
Il dato più rilevante è che circa il 75% delle apparecchiature elettroniche destinate agli Stati Uniti viene testato in Cina. Negli ultimi vent’anni Pechino ha costruito un ecosistema di laboratori strettamente integrato con il suo apparato industriale e con le esportazioni high-tech. Revocare il riconoscimento a istituzioni come la Chongqing Academy of Information and Communications o la China Academy of Information and Communications Technology significa colpire il cuore di questa infrastruttura. Non è soltanto un gesto di sfiducia: è un modo per sottrarre a Pechino il potere di influenzare i parametri tecnici che regolano il commercio globale.
Implicazioni economiche e di politica industriale
Gli effetti economici si annunciano immediati. Le aziende che finora si affidavano a laboratori cinesi dovranno cercare alternative, con costi maggiori e tempi di certificazione più lunghi. Tuttavia, nel medio periodo, questa scelta potrebbe spingere alla creazione di nuovi poli di testing negli Stati Uniti e nei Paesi alleati, dall’Europa al Giappone. Per Washington, il messaggio agli investitori è chiaro: la dipendenza dalle infrastrutture regolatorie cinesi sarà scoraggiata e, al contrario, si aprono opportunità per sviluppare catene del valore più resilienti. È un tassello della più ampia strategia di reindustrializzazione americana, che attraverso il CHIPS Act e altre misure punta a ricostruire competenze e capacità produttive interne.
La dimensione giuridica e regolatoria
La mossa della FCC estende il concetto di sicurezza nazionale a un’area finora trascurata: la validazione tecnica dei prodotti. Il principio espresso è netto: i laboratori non possono essere controllati da governi considerati avversari. Si tratta di un ampliamento radicale della dottrina di “national security law”, già applicata ai semiconduttori e alle reti 5G. Ora, però, lo sguardo si sposta su una fase meno visibile, ma altrettanto cruciale della filiera. L’effetto è la progressiva giuridificazione dell’innovazione: ogni passaggio tecnologico diventa terreno di scrutinio legale e, al contempo, di selezione industriale.
Reazioni di Pechino e contesto geopolitico
La Cina ha replicato accusando Washington di strumentalizzare la sicurezza nazionale e di trasformare la regolamentazione in arma politica. Per Pechino, si tratta di protezionismo mascherato che ostacola la libera concorrenza. Eppure la mossa della FCC non è isolata. Si inserisce in una strategia che ha già colpito colossi come Huawei, ZTE e Hikvision, imponendo divieti o limitazioni all’accesso al mercato statunitense. È una forma di decoupling che va oltre la produzione: riguarda le regole stesse che definiscono chi può operare e in quali condizioni. Per la Cina, la posta in gioco è la perdita della capacità di influenzare il linguaggio tecnico e normativo dell’innovazione globale.
Gli impatti sul diritto dell’innovazione e sugli investimenti
L’intervento apre scenari inediti per il diritto dell’innovazione. La certificazione, tradizionalmente intesa come passaggio neutrale, diventa uno strumento di potere. Le multinazionali dovranno confrontarsi con una crescente frammentazione normativa: da un lato i circuiti “occidentali”, che richiedono laboratori ritenuti sicuri; dall’altro, quelli cinesi, che continueranno a offrire i propri servizi di testing. La conseguenza è la moltiplicazione delle certificazioni, l’aumento dei costi e la necessità di rivedere le strategie di investimento. Al tempo stesso, si aprono opportunità per i player specializzati in compliance e auditing con sede in mercati considerati affidabili: un settore che potrebbe conoscere una fase di espansione senza precedenti, diventando esso stesso un segmento industriale strategico.
Prospettive future
Il passo della FCC rischia di innescare un effetto domino. L’Unione Europea, impegnata nel dibattito sul “de-risking” tecnologico, potrebbe seguire la stessa strada, ridefinendo i criteri di riconoscimento dei laboratori stranieri. Giappone e Australia, partner chiave di Washington nell’Indo-Pacifico, hanno già adottato linee dure in altri ambiti tecnologici. Se la tendenza dovesse consolidarsi, si assisterebbe a una progressiva regionalizzazione della certificazione, con la nascita di standard paralleli e non sempre interoperabili. Per le imprese globali, la sfida sarà garantire conformità a regole diverse e in continua evoluzione, preservando al contempo la competitività. In definitiva, la decisione americana segna l’avvio di una nuova fase: la regolamentazione tecnica non è più neutrale, ma un campo di battaglia centrale per la definizione dell’ordine industriale e digitale del XXI secolo.