Passerelle decisive a New York, Londra, Milano e Parigi: nuovi direttori creativi, clienti persi e pressioni finanziarie mettono il settore da 400 miliardi davanti a un bivio storico
Il mese delle Fashion week non è mai stato così cruciale. Chanel, Dior, Gucci e altre maison iconiche tornano in passerella in un clima di incertezza senza precedenti: l’industria del lusso, dopo un decennio di crescita travolgente e un boom post-pandemia ormai esaurito, deve riconquistare milioni di clienti persi e convincere investitori sempre più scettici. La morte di Giorgio Armani, simbolo di un’epoca, segna un passaggio generazionale che rende ancora più evidente l’urgenza di una svolta. Questa stagione non sarà solo moda: sarà un test di sopravvivenza per l’intero settore.
Un decennio di crescita interrotto
Per quasi dieci anni il lusso ha corso a ritmi vertiginosi, con una media di crescita del 10% annuo, sostenuto soprattutto dai consumatori cinesi e da un’espansione globale apparentemente senza freni. Poi, tra inflazione, crisi immobiliare in Cina e tensioni commerciali tra Stati Uniti ed Europa, il boom si è arrestato bruscamente. Secondo Bain & Company, Tra il 2023 e il 2024 si e’ assisitito all’uscita dal mercato di circa 50 milioni di clienti. Un dato impressionante che segnala un problema strutturale: i marchi hanno puntato troppo sugli aumenti di prezzo, alimentando profitti a breve termine, ma alienando la base dei consumatori medi.
Una rivoluzione nei vertici creativi
Il segnale più visibile della crisi è il rinnovamento senza precedenti nei team creativi. Chanel ha affidato il futuro dei suoi codici a Matthieu Blazy, già artefice del rilancio di Bottega Veneta. Dior ha scommesso su Jonathan Anderson, chiamato a guidare contemporaneamente menswear e womenswear. Gucci, reduce da anni di incertezza post-Alessandro Michele, ha puntato su Demna, noto per l’approccio radicale e l’abilità nel trasformare il linguaggio dello streetwear in lusso concettuale.
La posta in gioco non è solo estetica: ogni direttore creativo è oggi anche un manager simbolico, da cui dipendono miliardi di euro di vendite e l’equilibrio dei conglomerati come LVMH e Kering.
Gucci: la crisi di un gigante
Il caso Gucci rappresenta il banco di prova più delicato. Dopo aver saltato il boom post-pandemia, il marchio ha faticato a definire una nuova identità. L’uscita di Alessandro Michele nel 2024 ha lasciato un vuoto creativo che Sabato De Sarno non è riuscito a colmare con la sua estetica minimalista. Gucci, che vale oltre la metà dei ricavi di Kering, rischia di trascinare con sé l’intero gruppo se non troverà presto una formula vincente.
La scelta di Demna è tanto audace quanto rischiosa. La sua estetica provocatoria e talvolta divisiva potrà ridare centralità a un brand iconico o alienare ulteriormente una clientela già disorientata. La sua prima presentazione a Milano, il 23 settembre, sarà un test osservato con attenzione dai mercati finanziari oltre che dal pubblico.
Chanel e Dior: innovare senza tradire
Chanel, che ha registrato una contrazione di vendite inusuale per la maison, punta su Blazy per reinterpretare il tweed e i tailleur che hanno fatto la storia del brand. Il debutto al Grand Palais, il 6 ottobre, sarà un evento non solo creativo, ma identitario: la maison deve dimostrare che la tradizione può convivere con l’innovazione.
Dior, seconda etichetta più importante di LVMH dopo Louis Vuitton, ha affidato ad Anderson il compito di superare un periodo di relativa stagnazione. La sua prima sfilata femminile del 1° ottobre, dopo l’esordio maschile a luglio, sarà un segnale della direzione che la maison intende prendere.
Governance e pressione finanziaria
Il rinnovamento creativo si accompagna a profondi cambiamenti manageriali. Kering ha sostituito diversi CEO e Valentino ha ridisegnato la propria governance. Anche LVMH ha riorganizzato maison come Givenchy e Celine. Questo turn-over non è casuale: riflette la pressione crescente di investitori che chiedono ritorni concreti in un contesto di crescita rallentata e margini sotto pressione.
Nel lusso, il capitale simbolico è tanto importante quanto quello finanziario. Un errore creativo o una direzione percepita come incoerente può avere effetti immediati sulle vendite e sull’attrattività del brand.
Geopolitica e fragilità della domanda
Il lusso non è immune alle dinamiche globali. La Cina, che ha rappresentato il motore principale dell’espansione del settore, attraversa una fase di fragilità economica. Negli Stati Uniti, le tensioni commerciali con l’Europa e l’incertezza politica frenano i consumi. In Europa, inflazione e crisi energetica hanno ridotto la capacità di spesa.
Il lusso, storicamente percepito come anticiclico, oggi scopre di essere vulnerabile: spingendo i prezzi sempre più in alto, i marchi hanno ridotto il proprio bacino di clienti, rendendosi meno resilienti a shock esterni.
Le passerelle come palcoscenico politico e tecnologico
Oggi le Fashion week non sono solo eventi di settore, ma strumenti geopolitici e tecnologici. Una sfilata a Parigi o Milano influenza la percezione del brand in Asia e negli Stati Uniti, mentre i social media amplificano ogni dettaglio, esaltando successi e demolendo fallimenti in tempo reale.
Mostrare un abito sul red carpet senza la cornice della passerella può sembrare una scorciatoia efficace, ma spesso priva la maison di quella “aura” che è ancora fondamentale per alimentare il desiderio. La moda vive di immaginario e l’immaginario richiede regia, spettacolo e controllo.
Rivoluzione o declino?
“Ciò che verrà non sarà un’evoluzione, ma una rivoluzione”, ha detto Jonathan Siboni di Luxurynsight. La frase sintetizza la posta in gioco. Il lusso non può più limitarsi a incrementare i prezzi o replicare formule vincenti del passato: deve reinventarsi, riconnettersi a consumatori sempre più attenti e meno fedeli, e dimostrare coerenza tra immagine e sostanza.
La morte di Armani ha reso evidente la fine di un’epoca in cui i grandi stilisti incarnavano da soli il destino di una maison. Oggi il futuro dipende da un equilibrio più complesso: creatività, governance, finanza e capacità di lettura dei cambiamenti sociali.
Il lusso deve scegliere: restare prigioniero di un modello in crisi o inaugurare una nuova stagione capace di trasformare le passerelle in laboratori di futuro.