Con una piattaforma AI per l’occupazione e un programma di certificazioni, l’azienda di Sam Altman entra in un mercato dominato da Microsoft, sollevando interrogativi su concorrenza, governance e sovranità tecnologica globale.
Il lavoro del futuro potrebbe passare per le mani di un algoritmo. Con l’annuncio della OpenAI Jobs Platform, l’azienda creatrice di ChatGPT si prepara a ridefinire il modo in cui candidati e aziende si incontrano, sfidando direttamente il monopolio di LinkedIn. Ma la mossa non riguarda solo il recruiting: accanto alla piattaforma, OpenAI lancia un sistema di certificazioni che ambisce a stabilire nuovi standard globali di competenza digitale. Una strategia che intreccia tecnologia, finanza e politica industriale, e che porta inevitabilmente a chiedersi: chi controllerà il capitale umano del XXI secolo?
Una sfida diretta al dominio di LinkedIn
LinkedIn, con i suoi oltre 900 milioni di utenti, è da anni l’infrastruttura globale del lavoro digitale. Il suo valore risiede non solo nei profili e nei curricula archiviati, ma nel network che governa i flussi di informazione professionale e di selezione. L’arrivo della OpenAI Jobs Platform rompe questo equilibrio: non più un database passivo, ma un sistema intelligente capace di anticipare abbinamenti, suggerire percorsi di carriera e personalizzare l’offerta di lavoro. È un salto qualitativo che promette efficienza, ma che solleva dubbi sulla trasparenza degli algoritmi: chi controllerà i criteri di selezione e quali bias potrebbero emergere?
Il nodo Microsoft: alleato e rivale
L’operazione assume contorni paradossali perché il principale azionista di OpenAI è proprio Microsoft, che controlla LinkedIn. Con un investimento stimato in 13 miliardi di dollari, il colosso di Redmond ha reso possibile l’ascesa di OpenAI, integrando i suoi modelli nel cloud Azure e nei prodotti Office. Ora, però, si trova a fronteggiare una potenziale minaccia al proprio dominio nel settore del lavoro digitale. Già nel 2024 Microsoft aveva classificato OpenAI come concorrente in segmenti chiave come ricerca e pubblicità. La nascita della Jobs Platform trasforma questa ambiguità in una vera e propria contraddizione strategica, destinata a incidere sugli equilibri interni della partnership.
OpenAI Academy: certificazioni come nuovo capitale simbolico
La scelta di affiancare alla piattaforma una OpenAI Academy con certificazioni ufficiali segna un ulteriore passo nella costruzione di uno standard privato per l’economia digitale. Le certificazioni copriranno diversi livelli, dalla semplice alfabetizzazione fino a competenze avanzate come il prompt engineering. Per le imprese, adottarle significherà ridurre i costi di formazione e avere un benchmark per selezionare candidati. Per i lavoratori, invece, queste credenziali diventeranno un vero e proprio capitale simbolico, in grado di determinare accesso e mobilità nel mercato del lavoro. È un terreno delicato, perché attribuire a un attore privato il potere di definire gli standard delle competenze rischia di accentrare eccessivamente la governance del capitale umano.
L’impatto sul lavoro: tra reskilling e polarizzazione
OpenAI promette di certificare 10 milioni di americani entro il 2030, un piano senza precedenti di alfabetizzazione digitale. L’iniziativa arriva, però, in un contesto segnato da contraddizioni. Mentre molte aziende annunciano licenziamenti legati all’automazione, i dati mostrano che i ruoli con competenze AI ricevono salari mediamente più alti. La Jobs Platform e le certificazioni potrebbero, quindi, alimentare un fenomeno di polarizzazione: chi si forma guadagna più opportunità e reddito, chi resta indietro rischia l’esclusione. La promessa di inclusione convive con il rischio di nuove disuguaglianze, accentuate dal ritmo vertiginoso dell’innovazione.
Finanza e nuovi modelli di business
Per OpenAI, la Jobs Platform rappresenta anche una diversificazione dei ricavi. Dopo aver monetizzato l’uso di ChatGPT e delle sue API, l’azienda punta a un settore — quello della formazione certificata e del recruiting digitale — che vale centinaia di miliardi di dollari a livello globale. In prospettiva, stabilire uno standard riconosciuto a livello internazionale per le competenze AI significherebbe assicurarsi una posizione dominante nel mercato della certificazione. Ma la sfida non è solo economica: riguarda la capacità di conquistare la fiducia di governi, università e imprese in un contesto di crescente diffidenza verso il potere delle Big Tech.
Il diritto dell’innovazione come cornice necessaria
La creazione di una piattaforma che seleziona candidati attraverso algoritmi e definisce certificazioni richiede un nuovo quadro normativo. Chi garantirà che i sistemi di matching non riproducano bias di genere, etnia o provenienza sociale? Quale status giuridico avranno le certificazioni emesse da un soggetto privato? Il diritto dell’innovazione sarà chiamato a stabilire regole su trasparenza, responsabilità e interoperabilità. Senza un adeguato sistema di governance, il rischio è che la promessa di democratizzare l’accesso al lavoro si trasformi in un meccanismo di esclusione sistemica.
Chi controllerà il lavoro del futuro
La sfida lanciata da OpenAI non riguarda soltanto LinkedIn, ma l’intera architettura del lavoro nel XXI secolo. Con la Jobs Platform e l’Academy, l’azienda di Sam Altman aspira a diventare il punto di riferimento per il reclutamento, la formazione e la certificazione delle competenze. È un progetto ambizioso che intreccia tecnologia, finanza e geopolitica, ma che solleva questioni cruciali di governance e di equità. In gioco non c’è soltanto la leadership di mercato, ma il controllo del capitale umano digitale che definirà le economie e le società del futuro.