Dieci anni di tregua fiscale per aerei e navi: l’Europa rallenta sulla transizione verde

RedazioneRedazione
| 01/09/2025
Dieci anni di tregua fiscale per aerei e navi: l’Europa rallenta sulla transizione verde

Bruxelles valuta di rinviare al 2035 la tassazione sui carburanti di aviazione e shipping. Un compromesso che protegge la competitività industriale, ma rischia di incrinare la credibilità dell’UE come leader globale della transizione climatica.

Nel cuore di Bruxelles si gioca una partita cruciale: scegliere se difendere la competitività immediata di aviazione e shipping o rispettare la traiettoria del Green Deal. Una bozza negoziale rivela che i governi dell’UE sono pronti a concedere dieci anni di esenzione fiscale ai carburanti più inquinanti, rinviando al 2035 l’introduzione di una tassa comune. La mossa, concepita per proteggere settori strategici come turismo e commercio marittimo, rischia però di trasformarsi in un segnale politico opposto a quello che l’Europa ha finora rivendicato: guidare la transizione verde globale.

Un compromesso che riscrive la traiettoria climatica

Il progetto originario della Commissione europea, presentato nel 2021, prevedeva una riforma delle accise energetiche con l’introduzione graduale di tasse sui combustibili più inquinanti. Obiettivo: eliminare privilegi storici e rendere coerente la fiscalità con gli impegni climatici dell’UE. Il nuovo documento negoziale, però, ridimensiona drasticamente queste ambizioni: aviazione e shipping manterranno l’esenzione fino al 2035, con poche eccezioni marginali.

Se confermata, questa scelta sposterebbe in avanti di un decennio uno degli strumenti chiave della politica climatica europea, ritardando l’incentivo a investire in carburanti alternativi e tecnologie meno impattanti.

La difficile alchimia della fiscalità europea

Le tasse sull’energia rappresentano uno dei terreni più delicati della politica comunitaria. Ogni modifica richiede l’unanimità dei 27 Stati membri, un vincolo che storicamente ha bloccato numerose riforme. L’idea di introdurre un’imposta proporzionale al contenuto di carbonio dei carburanti, sulla carta razionale e allineata al Green Deal, si è scontrata con interessi nazionali divergenti.

Paesi con grandi flotte marittime, come Grecia e Cipro, hanno opposto resistenza per tutelare i propri armatori. Stati a forte vocazione turistica, come Spagna, Portogallo o Italia, temono invece ripercussioni sui costi dei voli, con effetti a catena sull’economia. La presidenza di turno danese ha elaborato un compromesso che, di fatto, rinvia il problema senza risolverlo.

Competitività contro clima: un equilibrio fragile

La giustificazione ufficiale della bozza è “mantenere la posizione competitiva delle imprese europee”. Un argomento che riflette il peso delle lobby del trasporto aereo e marittimo, settori responsabili di una quota significativa delle emissioni globali ma essenziali per la mobilità di persone e merci.

Tuttavia, dal punto di vista climatico, il rinvio rischia di indebolire la credibilità dell’UE. Il Green Deal si fonda su obiettivi ambiziosi – riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030 e neutralità climatica entro il 2050 – che richiedono azioni immediate. Lasciare dieci anni di esenzione fiscale ai combustibili più inquinanti manda un messaggio contraddittorio rispetto a questa narrativa.

Le eccezioni marginali e il peso della politica

Il documento prevede solo tassazioni anticipate per velivoli con meno di 19 posti e imbarcazioni ad uso privato. Misure che incidono poco sull’impatto ambientale complessivo, ma che consentono ai negoziatori di presentare l’accordo come un “primo passo”.

In realtà, il compromesso riflette soprattutto un calcolo politico: meglio congelare un accordo imperfetto che continuare a rimandare la riforma. Ma la scelta potrebbe avere un costo in termini di fiducia dei cittadini, che vedono le grandi compagnie tutelate mentre si chiedono sacrifici crescenti alle famiglie e alle piccole imprese.

L’unanimità come freno strutturale

Il requisito dell’unanimità in materia fiscale mostra, ancora una volta, i limiti dell’attuale governance europea. Ogni Stato ha di fatto un potere di veto, trasformando le decisioni in maratone negoziali condizionate da scambi e compromessi trasversali.

Alcuni giuristi propongono di superare questo meccanismo introducendo la “cooperazione rafforzata”, che consentirebbe a un gruppo di paesi di avanzare senza attendere l’accordo dei più riluttanti. Ma la prospettiva è politicamente sensibile e rischia di accentuare divisioni interne all’Unione.

L’impatto sui mercati finanziari e sugli investitori ESG

Il ritardo nell’introduzione delle tasse sui carburanti non è neutrale sul piano finanziario. I grandi investitori istituzionali e i fondi ESG guardano con attenzione alle politiche fiscali come segnali della direzione di marcia. Un rinvio al 2035 potrebbe minare la credibilità dell’UE come hub della finanza sostenibile, rallentando i flussi di capitale verso progetti verdi.

La coerenza tra obiettivi climatici e strumenti fiscali è fondamentale per mantenere la fiducia dei mercati. Incoerenze o compromessi al ribasso rischiano di tradursi in una perdita di leadership, con effetti non solo ambientali ma anche economici.

Leadership in bilico

La decisione di concedere una tregua fiscale decennale ad aviazione e shipping mette a nudo le contraddizioni dell’Unione: obiettivi climatici ambiziosi, ma strumenti deboli e paralizzati dai veti incrociati.

Da un lato, il compromesso offre respiro competitivo a settori strategici. Dall’altro, rischia di trasformarsi in un boomerang politico, incrinando la credibilità internazionale dell’UE e la fiducia dei cittadini europei nella transizione verde.

La vera domanda è se l’Unione sarà in grado di uscire dalla logica del compromesso permanente e dotarsi di una governance capace di tradurre ambizioni in risultati. In gioco non c’è solo la tassazione dei carburanti: c’è la leadership dell’Europa nella lotta globale al cambiamento climatico.

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