Piantare alberi può aumentare il rischio di siccità: lo studio internazionale che ribalta un mito ambientale

| 21/08/2025
Piantare alberi può aumentare il rischio di siccità: lo studio internazionale che ribalta un mito ambientale

Un’analisi pluridecennale su copertura vegetale e umidità del suolo mostra che quasi metà delle aree verdi sperimenta una riduzione di idratazione, sollevando interrogativi su strategie ambientali e sostenibilità.

Un quadro globale inaspettato: quando il verde diventa un paradosso idrico

Per decenni, la piantumazione di alberi è stata raccontata come la soluzione universale ai cambiamenti climatici. Dalla retorica politica ai programmi di compensazione delle emissioni, il “verde” è stato spesso presentato come un simbolo positivo, immediato e intuitivo. Tuttavia, un nuovo studio guidato da ricercatori cinesi e pubblicato su Communications Earth & Environment getta una luce inedita sul fenomeno. Attraverso un’analisi pluridecennale di dati satellitari, modelli climatici e database di umidità del suolo, gli studiosi hanno scoperto che in quasi metà delle aree mondiali osservate la crescita della vegetazione coincide con un progressivo calo di umidità. Questo fenomeno, battezzato “greening-drying”, mette in discussione l’idea che più alberi significhino sempre più acqua e maggiore resilienza climatica.

I meccanismi eco-idrologici dietro al “greening-drying”

Il cuore del problema risiede nei processi idrologici legati alla vegetazione. Gli alberi, pur riducendo l’erosione e migliorando la qualità del suolo, intensificano l’evapotraspirazione, cioè il rilascio di acqua nell’atmosfera. In contesti semi-aridi o già stressati, questo consumo idrico può superare la capacità del sistema di rigenerarsi con le precipitazioni, generando squilibri strutturali. Le serie storiche analizzate dai ricercatori mostrano tendenze chiare: in regioni come l’Australia meridionale o l’Asia centrale, l’aumento della copertura vegetale è stato accompagnato da un calo significativo dell’umidità, con tassi di declino misurabili e progressivi. Al contrario, in ecosistemi più umidi come l’India nord-orientale o il bacino del Mississippi, l’effetto è opposto: più vegetazione equivale a maggiore ritenzione idrica.

Implicazioni economiche e di politica ambientale

Questi dati hanno un impatto enorme sulla progettazione delle politiche ambientali e industriali. La finanza climatica ha investito miliardi di dollari in programmi di riforestazione e “carbon offsetting” basati su una logica quantitativa: piantare più alberi possibile per assorbire più CO₂. Ma se in determinate aree questo approccio genera stress idrico e peggiora le condizioni agricole, il rischio è duplice: non solo non si ottiene il beneficio ambientale atteso, ma si generano danni collaterali a economie locali già fragili. Per i decisori politici e per le aziende coinvolte in programmi di responsabilità ambientale, questo studio rappresenta un avvertimento: la sostenibilità non può essere ridotta a un indicatore univoco. Occorre integrare l’analisi idrologica, sociale ed economica prima di avviare grandi campagne di piantumazione.

Focus sulla Cina: il caso emblematico del Loess Plateau

La Cina è un laboratorio vivente di queste dinamiche. Negli ultimi decenni, il Paese ha intrapreso programmi di piantumazione colossali per combattere la desertificazione e l’erosione del suolo, come il celebre progetto del Plateau di Loess. Se da un lato i benefici sono stati tangibili in termini di riduzione delle polveri e stabilizzazione del terreno, dall’altro sono emerse criticità legate al consumo idrico e alla competizione tra alberi e colture. In aree semi-aride, le piantumazioni intensive hanno ridotto la disponibilità di acqua sotterranea e compromesso la resilienza agricola. Questa ambivalenza riflette il dilemma più ampio delle strategie ambientali: un’azione virtuosa in un parametro (ridurre l’erosione) può generare vulnerabilità in un altro (disponibilità idrica).

La dimensione geopolitica e la governance del verde

Il tema del “greening-drying” si inserisce in un contesto geopolitico in cui l’ambiente non è solo una questione etica, ma anche un asset di politica industriale e potere internazionale. La capacità di un Paese di sviluppare politiche di adattamento efficaci diventa un fattore competitivo e di stabilità interna. Le istituzioni multilaterali, dall’ONU alla Banca Mondiale, hanno spesso promosso programmi globali di piantumazione senza distinguere abbastanza tra regioni umide e aride. La nuova evidenza scientifica richiama alla necessità di una governance ambientale più sofisticata, capace di superare la logica “one-size-fits-all” e di sviluppare strumenti normativi e finanziari calibrati sui contesti locali.

Diritto dell’innovazione e finanza verde: nuove prospettive

Il diritto dell’innovazione e la regolazione della finanza verde saranno sempre più chiamati a integrare questi dati nei modelli decisionali. Strumenti come i green bond o i fondi ESG dovranno misurare non solo il numero di alberi piantati, ma anche l’impatto netto su idrologia, biodiversità e resilienza delle comunità locali. Questo comporta una rivoluzione metodologica: dal conteggio quantitativo al bilancio sistemico. Allo stesso tempo, i quadri normativi internazionali dovranno adattarsi per premiare progetti che considerano la sostenibilità a 360 gradi e non solo la capacità di sequestrare carbonio.

Verso una riflessione globale: oltre la retorica del “piantare, a prescindere”

Lo studio propone, in definitiva, una riflessione che va oltre la scienza: il cambiamento climatico non può essere affrontato con soluzioni sloganistiche. La piantumazione è uno strumento utile, ma non sufficiente e, in alcuni casi, potenzialmente dannoso. Occorre ripensare le strategie ambientali con un approccio integrato che tenga conto delle specificità locali, delle dinamiche eco-idrologiche e delle interconnessioni tra ambiente, economia e società. In alcune aree, sarà più efficace preservare foreste autoctone, rafforzare gli ecosistemi naturali o sviluppare infrastrutture verde-blu che bilancino acqua, suolo e vegetazione.

La lezione e’ chiara

Il mito che piantare alberi sia sempre e comunque positivo viene messo in discussione da dati scientifici robusti. La lezione è chiara: la vera sostenibilità non è questione di quantità ma di qualità, di pianificazione intelligente e di governance multilivello. L’ambientalismo del futuro dovrà essere meno simbolico e più tecnico, meno uniforme e più contestuale. Solo così il verde potrà essere davvero un alleato nella lotta contro il cambiamento climatico e non, paradossalmente, un acceleratore di siccità.

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