AGCOM. Regolamentare i Content Delivery Network (CDN)? Un pericoloso errore strategico

| 08/08/2025

 
AGCOM ha deciso di trattare queste reti digitali come se fossero operatori telefonici tradizionali, imponendo loro vincoli burocratici, autorizzazioni e obblighi pensati per una realtà tecnologica molto diversa. Chi ama davvero Internet — come rete aperta, efficiente, competitiva — non può restare in silenzio. È una scelta sbagliata. E può essere ancora fermata.

Viviamo in un’epoca in cui Internet non è più un lusso, ma un’infrastruttura essenziale. Facciamo tutto o quasi in rete: studiamo, lavoriamo, comunichiamo, ci curiamo. Eppure, proprio ora che dovremmo rafforzarla e renderla più efficiente, si sta compiendo in Italia una scelta che rischia di indebolirla.

Mi riferisco alla recente decisione dell’AGCOM di regolamentare i CDN (Content Delivery Network), quelle reti intelligenti che permettono ai contenuti di viaggiare più velocemente e in modo più affidabile, portandoli vicini agli utenti. Chi non ricorda ancora oggi gli allarmi lanciati a ridosso dell’arrivo di Netflix in Italia? “La rete non reggerà…”, “Salterà il sistema…”, “I cavi si squaglieranno…”. Netflix arrivò e non accadde nulla di tutto ciò. Perché? Perché è proprio grazie ai CDN, se possiamo vedere video in streaming senza interruzioni, partecipare a una videolezione senza ritardi o fare un acquisto online in pochi secondi.

Ora, AGCOM ha deciso di trattare queste reti digitali come se fossero operatori telefonici tradizionali, imponendo loro vincoli burocratici, autorizzazioni e obblighi pensati per una realtà tecnologica molto diversa.

Una scelta senza precedenti in Europa

L’Italia è, ad oggi, l’unico Paese dell’Unione Europea ad aver compiuto un passo simile.
Nessuna delle altre autorità nazionali ha esteso il Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche a infrastrutture come i CDN. Lo ha sottolineato anche CCIA Europe, che in una dettagliata analisi ha messo in guardia: questa regolamentazione rischia di scoraggiare gli investimenti, aumentare i costi per i fornitori di contenuti, e rallentare l’innovazione digitale proprio nel momento in cui il nostro Paese dovrebbe accelerare.

Una tassa digitale nascosta?

Dietro questa decisione si cela un rischio ancora più grande: quello di trasformare i CDN in vittime di una “network fee” indiretta.
Applicando loro i meccanismi arbitrali previsti dall’articolo 26 del Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche — pensati per gli operatori di rete — si apre la porta alla possibilità che i fornitori di contenuti vengano costretti a pagare per garantire la consegna dei loro servizi.
Come ha scritto la professoressa Barbara van Schewick della Stanford Law School, uno dei riferimenti mondiali in materia di neutralità della rete: “…Quando i fornitori di contenuti sono costretti a pagare per accedere agli utenti, non siamo più davanti a un Internet aperto, ma a un sistema a doppia velocità che penalizza l’innovazione…”

Chi ci perde? Tutti

I primi a farne le spese sarebbero gli utenti finali: cittadini, imprese, studenti.
Meno CDN significherebbe video più lenti, contenuti che si bloccano, servizi digitali più costosi o meno affidabili.
Le PMI italiane, che dipendono da piattaforme online per vendere e comunicare, si troverebbero svantaggiate in un contesto europeo più competitivo e snello.
In secondo luogo, l’intero sistema digitale nazionale rischia di indebolirsi.
Le aziende che operano nel cloud, nello streaming o nella distribuzione dei contenuti potrebbero preferire altri mercati europei, più chiari e meno opachi sul piano regolatorio.

Un’analogia concreta per capirci meglio

Pensiamo ai CDN come a una rete di autostrade digitali.

Finora, queste autostrade erano aperte e ben tenute, permettendo a chiunque — dalle startup alle big tech — di far viaggiare contenuti in modo rapido. Ora, qualcuno vorrebbe trattarle come strade a pedaggio, con barriere, limiti e costi.
Il risultato?
Traffico rallentato, diseguaglianze di accesso, meno innovazione.
Chi ci guadagna da questo cambio di modello?
È lecito sospettare che alcuni Operatori tradizionali, poco incentivati a innovare i propri servizi, possano avere interesse a rallentare chi oggi porta contenuti direttamente all’utente, in modo più efficiente.
Non possiamo permettere che la tutela di vecchi modelli di business freni la trasformazione digitale dell’Italia.

Una correzione di rotta è ancora possibile

Tuttavia non è ancora troppo tardi per ripensare questa stortura.
Regolamentare non significa frenare: significa trovare il giusto equilibrio tra tutela e sviluppo. Ma oggi quell’equilibrio è stato smarrito. E allora cosa fare?
È necessario:

  • Ritirare o sospendere la delibera, avviando un confronto serio con tutti gli stakeholder, in primis con i fornitori di contenuti e tecnologia
  • Evitare soluzioni nazionali isolate, che creano frammentazione del mercato europeo
  • Tutelare la neutralità della rete, uno dei pilastri della democrazia digitale.

Difendere l’Internet che vogliamo

Regolamentare i CDN come operatori di rete non migliorerà la rete italiana. La renderà solo più lenta, costosa, ingessata.
In un mondo che corre verso il 5G, l’AI e l’Edge Computing, abbiamo bisogno di più flessibilità, più intelligenza regolatoria, più apertura.
Chi ama davvero Internet — come rete aperta, efficiente, competitiva — non può restare in silenzio. È il momento di dirlo chiaramente: questa di AGCOM è una scelta sbagliata.
E può essere ancora fermata.

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