Un sistema bloccato da urgenze croniche, leggi blindate e cittadini esclusi: perché serve ricostruire la filiera della rappresentanza. Il contributo e’ tratto dalla Rivista telematica Forma Politica, diretta dal Prof. Donato Limone.
In Italia, la democrazia parlamentare sembra reggersi su un equilibrio sempre più fragile. Il nostro Paese vive da decenni una progressiva de-istituzionalizzazione del potere legislativo. Le Camere, formalmente centrali nel sistema costituzionale, sono di fatto sempre più marginali nel processo decisionale. Questo fenomeno, noto come “esautoramento del Parlamento”, ha origini lontane ma ha assunto un’accelerazione evidente a partire dagli anni Ottanta, quando la frammentazione partitica e la rigidità procedurale spinsero i governi a ricorrere sistematicamente alla decretazione d’urgenza.
Questa crisi non è un’anomalia esclusiva italiana: anche altri Paesi europei assistono a un rafforzamento dell’esecutivo e a un calo della partecipazione. Tuttavia, in Italia essa assume forme più gravi a causa della rigidità del nostro impianto istituzionale, che rende più difficile correggere gli squilibri senza interventi sistemici.
Il decreto-legge, previsto dall’art. 77 della Costituzione come strumento straordinario e temporaneo, è divenuto negli anni un veicolo ordinario di legislazione. Dai governi degli anni’80 in poi, tutti gli esecutivi – tecnici o politici – hanno fatto ampio ricorso a questo strumento: nel solo periodo 2001–2024, oltre il 70% delle leggi approvate ha origine governativa, e nella maggior parte dei casi si tratta di decreti convertiti con il voto di fiducia, spesso blindati. Il bicameralismo perfetto non è stato superato de jure, ma è stato bypassato de facto da pratiche che riducono il Parlamento a un organo ratificante. Questa patologia funzionale produce un primo effetto sistemico: la concentrazione del potere normativo nell’esecutivo, a scapito del ruolo legislativo delle Camere e della qualità del confronto parlamentare. Il tempo del dibattito viene sacrificato sull’altare dell’urgenza, spesso costruita ad arte. Quando la norma diventa strumento di potere più che espressione del consenso, la legalità rischia di disancorarsi dalla legittimità.
Il secondo effetto riguarda invece i partiti politici, che hanno progressivamente perso la loro funzione di mediazione tra società e istituzioni. Privati della centralità parlamentare, si sono trasformati in macchine elettorali centrate sui leader, dominate dalla comunicazione immediata e dal consenso personalizzato. La conseguenza è una politica meno deliberativa e più performativa, in cui il conflitto si sposta dal merito delle proposte al linguaggio dei social e alla gestione delle crisi. Si riduce così anche la possibilità di costruire visioni condivise e progetti di lungo periodo.
In questo contesto, anche gli strumenti di democrazia diretta sembrano aver perso la loro efficacia. Il referendum abrogativo, unico effettivamente operativo in Italia, si è dimostrato strutturalmente fragile: quorum non raggiunti, quesiti inammissibili, campagne poco partecipate. Dei 72 referendum promossi tra il 1974 e il 2022, più della metà è fallita per mancata affluenza. I referendum del 2022, promossi sulla giustizia, si sono conclusi con un’affluenza inferiore al 21%. I cittadini non li vivono più come strumenti di potere, ma come riti svuotati di efficacia.
A ciò si aggiunge una crisi verticale e orizzontale della partecipazione politica: astensionismo in crescita, disinteresse per la politica attiva, sfiducia verso i partiti, incertezza sull’utilità del voto. La democrazia italiana è sempre più una democrazia senza cittadini, in cui le istituzioni perdono legittimità non per attacchi esterni, ma per consunzione interna.
Il vero nodo non è tecnico, ma politico: non è il sistema elettorale o il bicameralismo il cuore del problema, ma la perdita di una filiera viva della rappresentanza. Senza un Parlamento che discute, un Governo che ascolta, e cittadini che contano, la democrazia diventa solo un’illusione rituale.
Quanto può reggere una democrazia che funziona solo sulla carta? Quando la forma sopravvive alla sostanza, ciò che resta è solo un guscio vuoto.
Se davvero vogliamo salvare la democrazia rappresentativa italiana dalla sua lenta deriva, è tempo di spostare il dibattito oltre l’emergenza e la propaganda. Occorre una riflessione seria e condivisa sul ruolo del Parlamento, sulla qualità della legislazione, sullo spazio della cittadinanza attiva. Non bastano riforme tecniche o slogan sul “governo del fare”: serve un nuovo patto tra istituzioni e cittadini. Perché una democrazia senza partecipazione, senza deliberazione e senza rappresentanza è solo una democrazia svuotata. Il tempo per agire è ora. Non per salvare il sistema in quanto tale, ma per ridargli senso, efficacia e legittimità.