Mentre Bruxelles si prepara a lanciare un obiettivo climatico per il 2040 con una riduzione del 90% delle emissioni, alcuni Stati membri esprimono resistenze per i costi. Il ministro danese Aagaard avverte: fermare la transizione ecologica non è una soluzione, né per la competitività né per la sicurezza energetica.
Con l’imminente pubblicazione della proposta della Commissione Europea per un nuovo obiettivo climatico al 2040 – una riduzione delle emissioni del 90% rispetto ai livelli del 1990 – la tensione all’interno dell’Unione Europea tra ambizione ambientale e sostenibilità economica si riaccende. A prendere una posizione netta è la Danimarca, che a luglio assumerà la presidenza semestrale del Consiglio dell’UE e guiderà i negoziati su uno dei temi più divisivi dell’agenda europea.
Il ministro danese per il clima e l’energia, Lars Aagaard, ha dichiarato a Reuters che le sfide a breve termine – in particolare l’aumento della spesa militare in risposta alla guerra in Ucraina – non devono compromettere la transizione verde. Il messaggio è chiaro: l’UE non può permettersi di rallentare il proprio percorso verso un’economia a basse emissioni proprio ora che la competitività energetica e la sicurezza geopolitica ne dipendono.
Un nuovo equilibrio tra transizione ecologica e sicurezza strategica
Il contesto in cui si inserisce il dibattito sul target 2040 è definito da una doppia emergenza: la crisi climatica e la minaccia alla sicurezza europea. Come sottolinea Aagaard, “non è una celebrazione che l’Europa debba riarmarsi. È una necessità dettata dalla minaccia. Allo stesso modo, la transizione verde non è una scelta ideologica, ma una risposta a un problema sistemico”.
Le parole del ministro danese riflettono un approccio sempre più interconnesso tra politica climatica e politica industriale. Nel mondo post-2022, l’autonomia strategica europea si costruisce anche attraverso l’indipendenza energetica, riducendo la dipendenza dai combustibili fossili e sviluppando un sistema basato su fonti rinnovabili e nucleare pulito, strumenti ritenuti centrali nel piano danese.
Fratture politiche nell’Unione: Francia, Polonia e l’asse del realismo energetico
Non tutti gli Stati membri condividono la visione danese. Francia e Polonia, in particolare, stanno esprimendo riserve sull’obiettivo del 90%, considerandolo eccessivamente ambizioso in un periodo di forti pressioni inflattive e fiscali. I governi temono che l’implementazione delle normative ambientali imposte da Bruxelles possa compromettere settori industriali strategici e indebolire la coesione sociale.
Nel corso del 2024, l’UE ha infatti già allentato o rinviato alcune misure del Green Deal, cercando di contenere il malcontento legato all’impatto delle politiche ambientali su agricoltura, mobilità e settori energivori. In questo scenario, il target 2040 rappresenta un test di credibilità per l’intera architettura climatica europea, situato fra il traguardo del -55% entro il 2030 e la neutralità climatica al 2050.
Il ruolo della Danimarca: leadership normativa e pragmatismo energetico
La presidenza danese potrebbe giocare un ruolo decisivo. Aagaard ha sottolineato che “la risposta alla competitività europea è elettrificare più settori, produrre energia all’interno dei confini europei e farlo con rinnovabili e nucleare”. La posizione di Copenaghen si basa su un doppio pilastro: innovazione tecnologica e semplificazione normativa.
La Danimarca si propone come facilitatore tra le due anime dell’Europa climatica: quella nordica e centro-europea, più orientata alla transizione, e quella centro-orientale e mediterranea, più cauta e sensibile ai costi socio-economici. Una sfida politica che richiederà equilibrio tra ambizione ambientale, coesione politica e sostenibilità industriale.
Uno sfondo geopolitico sempre più complesso
La transizione ecologica europea si gioca in un contesto segnato da forti tensioni geopolitiche globali, dalla riorganizzazione delle catene di approvvigionamento energetico e dal ritorno del confronto fra blocchi industriali. L’Unione è oggi chiamata a conciliare decarbonizzazione, competitività e resilienza.
Nel medio termine, la capacità dell’Europa di mantenere la rotta sul clima potrà rafforzare anche la sua posizione negoziale nei consessi internazionali: dal G7 Clima ed Energia, ai tavoli della COP30, fino al dibattito su carbon border adjustment, idrogeno verde, e materiali critici per la transizione.
Tra ambizione e realismo, l’Europa davanti a una scelta sistemica
L’obiettivo climatico per il 2040 rappresenta più di una cifra: è un segnale politico, industriale e sociale che l’Europa invia a sé stessa e al mondo. Rinunciare a questa traiettoria, o diluirne il contenuto, significherebbe rinunciare a guidare il paradigma della transizione globale, lasciando spazio ad approcci meno compatibili con i valori europei.
La presidenza danese sarà quindi chiamata a tessere un compromesso avanzato, che riconosca la necessità di flessibilità, ma riaffermi la centralità del clima nella politica industriale e geopolitica europea. La questione non è più se la transizione avverrà, ma chi saprà governarla.