Il rapporto tra l’amministrazione Trump e le criptovalute è caratterizzato da ambiguità e contraddizioni. Mentre negli Stati Uniti e nel mondo crescono gli sforzi per regolamentare il settore, Trump cavalca la retorica crypto senza un progetto coerente. Questo articolo analizza il fenomeno alla luce delle politiche globali emergenti.
Un leader e il suo messaggio ambiguo
Quando Donald Trump, nel 2024, salì sul palco della Bitcoin Conference di Las Vegas, la sua oratoria – ricca, teatrale, scandita da pause studiate – si trasformò in un’ode alla grandezza di Bitcoin, alla grandezza dell’America, alla grandezza di sé stesso; promise licenziamenti clamorosi – come quello di Gary Gensler, simbolo della repressione contro le criptovalute – e lanciò slogan destinati a infiammare, a scuotere, a galvanizzare gli animi dei sostenitori della nuova finanza digitale. Ma, dietro a quegli applausi, dietro a quella retorica travolgente, cosa c’era davvero? Nessun impegno concreto a sostituire il sistema bancario tradizionale; nessun piano, nemmeno accennato, per superare il dollaro come moneta di riferimento. Un anno più tardi, l’assenza fisica del leader fu colmata da una delegazione che, anziché chiarire, amplificò la confusione: mentre il vicepresidente Vance rassicurava – quasi sussurrando – che le stablecoin non avrebbero minacciato l’integrità del dollaro, Eric Trump, con un ardore degno di un predicatore, si spingeva a sognare un futuro in cui le grandi banche si sarebbero estinte. Come può, ci si chiede, un movimento politico oscillare così platealmente tra due visioni opposte? Questo dualismo – così evidente, così lampante – riflette la tensione profonda tra il desiderio, anzi la necessità, di raccogliere consensi da ogni parte e la reale incapacità di elaborare una strategia unitaria per un fenomeno tanto complesso, sfuggente, contraddittorio come il mondo delle criptovalute.
La strategia americana: promessa di crescita o caos regolatorio?
Gli Stati Uniti si trovano oggi – più che mai – al centro di un paradosso regolatorio, un labirinto di norme, dichiarazioni, silenzi e promesse. Mentre Donald Trump, con la consueta enfasi, promette un’esplosione di crescita internazionale trainata dalle criptovalute, le agenzie federali, al contrario, oscillano – come un pendolo impazzito – tra repressione e tentativi di normazione (Rahman et al., 2025). L’amministrazione, in apparenza compatta, promuove il GENIUS Act – un disegno di legge ambizioso, destinato a regolare le stablecoin ancorate al dollaro – ma al contempo mantiene una retorica roboante, una retorica che esalta Bitcoin come il nuovo oro digitale; eppure, non si intravede alcuna chiarezza sul ruolo che questa criptovaluta dovrebbe davvero assumere nel sistema monetario americano.
La Securities and Exchange Commission (SEC) si interroga, si arrovella, si divide: alcune criptovalute sono forse titoli finanziari? Devono cadere sotto la sua giurisdizione? Al tempo stesso, la Commodity Futures Trading Commission (CFTC) le considera commodity – e questa discrepanza, questo caos definitorio, genera confusione, ostacola l’innovazione, mina la certezza normativa (Rahman et al., 2025). Come può un ecosistema così dinamico, così veloce, sopportare una regolamentazione tanto incerta? Ciò che emerge è un approccio frammentato, disorganico, dove la politica tenta – con un piede nel vecchio e uno nel nuovo – di cavalcare la popolarità del crypto, ma finisce per alimentare instabilità, dubbio, incertezza.
Lo scenario globale: la regolazione come sfida necessaria
In uno scenario internazionale che vede l’Unione Europea procedere con un quadro armonizzato come il regolamento MiCA e l’Asia dividersi tra l’approccio restrittivo della Cina e quello abilitante di Singapore, il contrasto con la strategia americana appare evidente (Rahman et al., 2025). L’Europa, con il MiCA, offre certezza giuridica agli operatori e tutela i consumatori, mentre si preoccupa dell’impatto ambientale delle criptovalute e cerca di garantire la compatibilità con le normative sulla privacy (Rahman et al., 2025). La Cina, invece, bandisce il mining e le transazioni crypto per preservare la stabilità finanziaria e ambientale, ma promuove il proprio yuan digitale. Singapore, dal canto suo, si distingue per un modello equilibrato che coniuga innovazione e vigilanza, facendo del Paese un hub per il settore (Rahman et al., 2025). In questo quadro, l’incapacità americana di proporre una strategia coerente rischia di penalizzare il Paese nella competizione globale sui nuovi paradigmi finanziari.
Le tensioni tra innovazione e stabilità finanziaria
Il cuore del problema risiede nella difficoltà di bilanciare innovazione e stabilità, libertà digitale e protezione degli investitori. Da un lato, le criptovalute e i progetti DeFi promettono una finanza più inclusiva, decentralizzata e trasparente (Rahman et al., 2025); dall’altro, la volatilità dei prezzi, i rischi di frode e gli episodi di hack sottolineano l’urgenza di regolamentare un ecosistema spesso teatro di abusi. Il caso delle stablecoin, con i dubbi sulle riserve di Tether e il rischio di corse agli sportelli digitali, rappresenta emblematicamente questo dualismo (Rahman et al., 2025). L’amministrazione Trump tenta di sedurre sia il mondo crypto, esaltandone le virtù, sia la finanza tradizionale, garantendo che il dollaro resterà il pilastro dell’economia. Ma può un governo restare su entrambi i fronti senza cadere nella contraddizione? E soprattutto, fino a quando sarà possibile ignorare la crescente domanda di regole chiare da parte di consumatori e mercati?
Quale futuro per crypto e sistema bancario?
L’amministrazione Trump, nel suo tentativo di abbracciare la retorica crypto senza alienarsi il sostegno delle istituzioni finanziarie, sembra incarnare un’ambiguità che rischia di diventare insostenibile. In un mondo in cui l’adozione delle criptovalute cresce, i governi devono decidere se abilitare una rivoluzione finanziaria o imbrigliarla entro i confini della regolazione classica. La sfida americana appare oggi doppia: da un lato, evitare che l’assenza di regole spinga gli operatori verso arbitraggi normativi e giurisdizioni più accoglienti; dall’altro, preservare la leadership in un settore che definisce il futuro della finanza globale (Rahman et al., 2025). Le lezioni offerte dall’Europa, da Singapore e perfino dagli eccessi cinesi dovrebbero indurre Washington a un ripensamento. Il tempo delle ambiguità si avvicina alla fine: le criptovalute, nate per sfidare il sistema, esigono ora regole che le integrino in un nuovo ordine economico.