Le conseguenze dell’attacco notturno condotto dagli Stati Uniti contro obiettivi iraniani, in un contesto già infiammato dal conflitto Israele-Iran, hanno immediatamente sollevato il timore di un effetto domino sui mercati energetici globali. Il rischio che lo Stretto di Hormuz — uno dei più delicati choke-point energetici del mondo — venga chiuso o reso insicuro, sta alimentando le preoccupazioni di una nuova impennata del prezzo di petrolio e gas.
Perché il mondo guarda allo Stretto di Hormuz
Attraverso questo tratto di mare, largo appena una quarantina di chilometri, passa oltre il 20% della produzione mondiale di petrolio e una quota significativa di gas naturale liquefatto (GNL). L’Iran, che affaccia direttamente su questa rotta marittima, ha più volte minacciato rappresaglie e chiusure in caso di interventi militari stranieri. Già in passato, simili tensioni hanno fatto balzare in alto i prezzi del Brent e del WTI, con ripercussioni su carburanti, elettricità e inflazione.

Petrolio e gas: le reazioni dei mercati
I mercati hanno già mostrato segnali di nervosismo: il Brent ha guadagnato fino all’11%, e l’energia derivata dal gas GNL risulta in rialzo per effetto dei legami di mercato tra i due vettori energetici. Le quotazioni potrebbero superare i 100-150 $/barile nel caso di un blocco effettivo dello stretto. Una simile impennata si rifletterebbe in pochi mesi sulle bollette italiane ed europee, nonostante le scorte e i contratti a termine.

L’Italia in prima linea
L’Italia, che ha già pagato un prezzo altissimo durante la crisi energetica successiva all’invasione russa dell’Ucraina, si trova ancora una volta esposta. La dipendenza dal GNL statunitense, molto più costoso di quello russo e mediorientale, e la scarsità di alternative continentali pongono il nostro Paese in una posizione di vulnerabilità strutturale.
Cosa possiamo fare: accelerare sulle fonti rinnovabili
Secondo il Prof. Daniele Menniti, Ordinario di Sistemi Elettrici per l’Energia presso l’Università della Calabria e Presidente dello spin-off accademico Creta Energie Speciali S.r.l., è urgente che l’Italia risponda non solo con misure tampone, ma con una strategiastrutturale di decarbonizzazione e indipendenza energetica.
Una importante risposta sostenibile e strategica a lungo termine è l’accelerazione decisa sulla produzione distribuita da fonti rinnovabili. Le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), l’autoconsumo collettivo e i sistemi di accumulo sono strumenti chiave per proteggere famiglie e imprese dalle dinamiche geopolitiche. Il 2025 è l’anno decisivo per chi vuole accedere agli incentivi previsti dal PNRR: contributi a fondo perduto fino al 40% e detrazioni fiscali fino al 50% sono oggi strumenti reali e concreti per invertire la rotta. “Non possiamo restare spettatori di una crisi annunciata. Le tensioni internazionali impongono una risposta immediata: accelerare la produzione distribuita da fonti rinnovabili e puntare sulle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER)”, ha dichiarato Menniti. “Il 2025 è l’anno cruciale: grazie ai fondi del PNRR, famiglie e imprese possono ricevere contributi a fondo perduto fino al 40% per impianti rinnovabili inseriti in CER, oltre a detrazioni fiscali molto vantaggiose. Ma i tempi per accedere a questi benefici sono stretti: il termine per la domanda è fissato al 30 novembre 2025”.
La transizione verso un sistema energetico sostenibile e decentralizzato, secondo l’esperto, può essere il vero scudo per famiglie, imprese e territori, in un mondo sempre più instabile.
Il Professore, infine, sottolinea anche i rischi strutturali dell’attuale modello energetico italiano, ancora troppo dipendente dal GNL importato via nave, spesso a costi elevatissimi, e conclude affermando che “La risposta non è solo economica o ecologica, ma geopolitica”.
Conclusioni
L’Italia non può permettersi di restare spettatrice. Le tensioni in Medio Oriente non sono solo un tema di politica estera: sono una variabile chiave della nostra sicurezza energetica.
La transizione verso l’autoproduzione energetica da fonti rinnovabili non è più solo una scelta ecologica, ma una necessità strategica e geopolitica.