Nel 2024, il mercato globale delle tecnologie emozionali – dal riconoscimento facciale all’analisi vocale – ha superato i 30 miliardi di dollari. Una cifra che può sembrare fredda, ma dietro cui si nasconde una verità profonda: nell’era degli algoritmi, sono le emozioni umane a diventare il nuovo capitale.
Per anni abbiamo parlato di knowledge economy, poi di platform economy e più recentemente di data economy, in una continua evoluzione guidata dalle tecnologie digitali. Ma ora sta emergendo una nuova frontiera: la emotional economy, un paradigma che pone le emozioni umane al centro come fonte chiave di valore economico, e che potrebbe ridefinire in profondità strategie industriali, design tecnologico e modelli di business.
In un mondo dominato dall’intelligenza artificiale, dagli algoritmi predittivi e dalle interfacce vocali, paradossalmente è l’essere umano – con la sua capacità di sentire, empatizzare e desiderare – a tornare al centro. L’economia delle emozioni nasce da questa tensione tra sviluppo tecnologico iper-razionale e un bisogno crescente di autenticità, connessione e significato.
Il ruolo dell’IA e dei dati emozionali
Al cuore dell’economia delle emozioni c’è la capacità di rilevare, interpretare e rispondere alle emozioni in tempo reale. Tecnologie come il riconoscimento facciale, l’analisi vocale, i sensori biometrici e i modelli linguistici avanzati permettono oggi alle aziende di comprendere l’umore di un utente, adattare un’interfaccia, personalizzare un contenuto o suggerire un prodotto in base allo stato emotivo.
Alcune aziende stanno già costruendo le fondamenta di questa rivoluzione. Affectiva, acquisita da Smart Eye, ha sviluppato sistemi per leggere le emozioni sul volto dei passeggeri per migliorare sicurezza e comfort nei veicoli. Replika propone chatbot “amici virtuali” in grado di riconoscere gli stati emotivi e rispondere con empatia. La neozelandese Soul Machines ha creato avatar digitali dotati di espressioni facciali autonome e risposte emotive in tempo reale. Anche colossi dell’elettronica di consumo come Xiaomi stanno investendo in dispositivi wearable che monitorano lo stato d’animo dell’utente integrando dati biometrici con sistemi predittivi.
Ma il potenziale della emotional economy non si limita a singole innovazioni: può trasformare interi settori.
Digitalizzazione e iper-personalizzazione emotiva
La trasformazione digitale ha già portato all’iper-personalizzazione delle esperienze utente, ma l’economia delle emozioni spinge questa logica ancora oltre. Non si tratta più solo di profilare gusti o abitudini, ma di interpretare gli stati emotivi in tempo reale. È una rivoluzione silenziosa, ma potenzialmente dirompente, perché cambia il modo stesso in cui si genera valore.
Nel retail, un ambiente intelligente può riconoscere il cliente abituale, percepire se è stressato o rilassato, e proporre offerte o percorsi di acquisto su misura. Nella sanità, i digital twin emozionali potranno contribuire a prevenire il burnout o la depressione, rilevando segnali emotivi prima che si manifestino clinicamente. Nell’educazione, piattaforme di apprendimento dotate di IA emozionale possono adattare i contenuti e il ritmo alle reazioni dello studente. Nell’automotive, assistenti intelligenti stanno già leggendo le emozioni dei conducenti per migliorare la sicurezza e prevenire incidenti causati da stanchezza o distrazione.
I consumatori, dal canto loro, non vogliono più solo funzionalità: cercano esperienze che li comprendano. E le aziende che sapranno davvero ascoltarli – letteralmente – avranno un vantaggio competitivo ineguagliabile.
Un caso concreto: il fenomeno Labubu di Pop Mart
Un esempio emblematico di emotional economy in azione è quello di Pop Mart e delle sue blind-box da collezione “Labubu”. L’azienda di Pechino ha visto le vendite del suo stravagante personaggio Labubu sfiorare i 2 miliardi di dollari, generando un entusiasmo tale che i fan fanno la fila per ore a Parigi, Seul e Los Angeles.
Venduto “alla cieca” – ossia senza sapere quale personaggio si troverà nella scatola – Labubu fa leva su trigger emotivi potenti: sorpresa, FOMO (paura di perdersi qualcosa), condivisione sui social, e, perfino, comportamenti compulsivi.
Non è solo commercio: è coinvolgimento emotivo. Il brivido della scoperta, il capitale sociale di mostrare un pezzo raro su TikTok, la scarica di dopamina del collezionismo. Pop Mart intercetta lo stato d’animo del suo pubblico – ribelle, nostalgico, giocoso – e trasforma l’emozione in un business multimiliardario. È emotional economy su scala globale.
L’economia della fiducia e il capitale emotivo
Ma l’economia delle emozioni non riguarda solo la tecnologia o i giocattoli virali. È anche un nuovo contratto sociale tra aziende e consumatori. Nell’era della disintermediazione digitale, la fiducia diventa il vero capitale. E la fiducia si costruisce con trasparenza, attenzione e ascolto. Le imprese che sapranno instaurare relazioni autentiche con i propri clienti – basate su empatia e valore percepito – saranno le uniche in grado di prosperare in un mercato sempre più saturo.
In questo contesto, anche i dati emozionali vanno trattati con responsabilità etica. Raccogliere emozioni non è come raccogliere preferenze. Serve un quadro normativo più maturo, basato sul consenso, sulla tutela della privacy e sul rispetto della dignità umana.
Un’opportunità per l’Europa
Per l’Europa, che ha fatto del rispetto dei diritti e dell’innovazione sostenibile il proprio tratto distintivo, la emotional economy rappresenta un’opportunità strategica. L’approccio europeo alla tecnologia – centrato sull’umano – può diventare il cuore pulsante di questa nuova economia. Non si tratta solo di competere con Stati Uniti e Cina su intelligenza artificiale o semiconduttori, ma di guidare il mondo verso un modello di innovazione dove la tecnologia non cancella l’emozione, ma la amplifica.
Verso un futuro sensibile
La vera sfida del futuro sarà integrare empatia e intelligenza artificiale, algoritmi e intuizione, dati e sentimento. In un’economia in cui il valore non è solo ciò che si misura, ma ciò che si prova, la capacità di comprendere e generare emozioni diventa un asset strategico al pari del capitale o delle infrastrutture digitali.
Il futuro dell’innovazione non sarà solo smart: sarà sensitive. E chi saprà costruire tecnologie ed esperienze che ascoltano davvero – prima ancora di rispondere – guiderà la prossima rivoluzione.