Austria, Italia e altri nove Stati membri criticano la normativa europea contro la deforestazione per i suoi impatti su agricoltura, industria e export. Sul tavolo nuove deroghe, semplificazioni e una possibile revisione del calendario applicativo.
L’Unione Europea si trova nuovamente al centro di un braccio di ferro politico interno a causa della sua pionieristica legislazione contro la deforestazione globale. A pochi mesi dall’entrata in vigore del regolamento previsto per dicembre 2025, undici Stati membri — tra cui Austria, Italia, Finlandia e Repubblica Ceca — hanno avanzato richieste ufficiali alla Commissione Europea per posticiparne l’applicazione e rivedere in modo sostanziale alcuni dei suoi meccanismi operativi.
Il regolamento UE sulla deforestazione mira a eliminare la quota — stimata attorno al 10% — di deforestazione globale causata dal consumo europeo di prodotti importati come soia, olio di palma, caffè, cacao e carne bovina. Tuttavia, nonostante l’obiettivo ambientale ambizioso e coerente con il Green Deal europeo, la sua implementazione si sta rivelando una sfida politica complessa, con impatti tangibili sulla competitività, sulle catene del valore agroalimentari e sulle relazioni commerciali internazionali.
Una normativa già indebolita
La Commissione aveva già deciso nei mesi scorsi di rinviare l’entrata in vigore di un anno (dal 2024 al 2025) e di allentare alcuni obblighi di rendicontazione, a seguito delle forti pressioni ricevute da partner commerciali come Brasile, Indonesia e Stati Uniti, oltre che da numerose organizzazioni industriali europee. Tuttavia, le concessioni non sembrano essere bastate.
Nel documento congiunto presentato al Consiglio Agricoltura dell’UE, i Paesi firmatari denunciano che gli obblighi di due diligence richiesti agli operatori — tra cui la tracciabilità dell’origine dei prodotti e la prova di non contribuzione alla deforestazione — risultano “eccessivamente onerosi, se non impossibili da attuare”, soprattutto per i piccoli produttori e per i sistemi agricoli frammentati.
Le richieste dei governi
Tra le modifiche proposte al testo normativo si evidenziano:
- L’introduzione di una nuova categoria di “Paesi a rischio molto basso”, i cui prodotti sarebbero esentati da controlli doganali e obblighi di tracciabilità
- Una nuova proroga dell’entrata in vigore del regolamento, oltre il dicembre 2025, per dare più tempo agli operatori economici di adeguarsi
- Semplificazioni procedurali per le imprese dell’UE, in particolare nel settore dell’export, che rischia di essere danneggiato da barriere burocratiche e da un effetto boomerang sulla competitività.
L’Italia, in particolare, ha espresso preoccupazione per l’impatto della normativa su alcune filiere strategiche come quella del caffè e dell’olio vegetale, oltre che per le possibili ripercussioni sulle relazioni commerciali con Paesi terzi.
Impatti giuridici e sanzionatori
Il regolamento prevede sanzioni fino al 4% del fatturato annuale dell’impresa a livello UE in caso di mancata conformità e impone l’obbligo di fornire dichiarazioni di due diligence per ciascun lotto di prodotto immesso sul mercato europeo o esportato. Le imprese dovranno dimostrare che i beni non provengono da aree deforestate dopo il 31 dicembre 2020.
Questa impostazione ha suscitato forti critiche da parte dell’industria europea, che lamenta l’eccessiva onerosità del sistema e la mancanza di interoperabilità tra le banche dati catastali e geospaziali di diversi Paesi esportatori. In particolare, le PMI segnalano un rischio di esclusione dai mercati per l’impossibilità tecnica di garantire la conformità entro i termini previsti.
Rischi per la politica industriale e commerciale europea
La richiesta di revisione avanzata dai 11 Paesi membri evidenzia un punto critico nella strategia europea di transizione verde: il bilanciamento tra obiettivi ambientali e sostenibilità economica. In gioco vi è la coerenza del Green Deal, ma anche l’efficacia della politica industriale europea nel garantire condizioni competitive eque tra operatori interni e fornitori esterni.
Inoltre, la rigidità normativa rischia di aprire contenziosi con Paesi partner che considerano il regolamento come una misura protezionistica mascherata da esigenza ambientale. Non a caso, alcune capitali extra-UE, come Jakarta e Brasilia, stanno valutando ricorsi in sede WTO.
La legge europea sulla deforestazione rappresenta un banco di prova per l’autonomia strategica dell’UE in ambito commerciale e ambientale. Tuttavia, la crescente opposizione interna suggerisce che il successo della normativa dipenderà dalla capacità della Commissione di conciliare rigore e realismo, ambiente e impresa, sostenibilità e inclusività.
Il dibattito è aperto e riflette una delle più complesse sfide della governance europea contemporanea: scrivere regole globali, ma farle funzionare a livello locale.