Vertice riservato il 2 giugno in Alaska su iniziativa dell’amministrazione Trump. Focus su investimenti asiatici nel megaprogetto da 44 miliardi di dollari e cooperazione energetica nell’Artico. Sfide normative, industriali e geopolitiche al centro del dibattito.
Il prossimo 2 giugno, su invito dell’amministrazione statunitense, rappresentanti di Giappone, Corea del Sud e Taiwan si riuniranno in Alaska per discutere una delle più ambiziose iniziative infrastrutturali nel settore energetico degli Stati Uniti: il gasdotto da 44 miliardi di dollari destinato a collegare i giacimenti del North Slope all’export LNG verso l’Asia. Il vertice, confermato da fonti vicine all’organizzazione, sarà presieduto dal Segretario all’Interno Doug Burgum e dal Segretario all’Energia Chris Wright.
L’incontro si colloca in un momento chiave delle relazioni commerciali tra Washington e i principali alleati asiatici, nel quadro delle tensioni post-tariffarie innescate durante l’amministrazione Trump. La volontà della Casa Bianca è chiara: trasformare gli Stati Uniti in un hub energetico globale, sfruttando la leva delle esportazioni di GNL per rafforzare le alleanze strategiche e ridurre la dipendenza asiatica da fornitori meno affidabili.
Una pipeline strategica ma controversa
Il progetto Alaska LNG, concepito da decenni, ma mai realizzato a causa di ostacoli tecnici e costi proibitivi, prevede un’infrastruttura di oltre 1.300 chilometri attraverso territori remoti e climaticamente estremi. La pipeline dovrebbe trasportare gas naturale fino alla costa sud dell’Alaska, dove sarebbe liquefatto per la spedizione internazionale. Nonostante gli incoraggiamenti pubblici, la concretizzazione di investimenti da parte dei partner asiatici appare ancora incerta.
Il premier giapponese Shigeru Ishiba avrebbe espresso sostegno al progetto in un colloquio riservato con Trump a febbraio, ma a Tokyo prevalgono ancora dubbi sulla sostenibilità finanziaria e ambientale dell’opera. Anche da Seul e Taipei giungono segnali cauti, sebbene CPC, la compagnia petrolifera statale taiwanese, abbia firmato un memorandum d’intesa per un possibile investimento.
Ostacoli normativi e fasi progettuali incomplete
Dal punto di vista tecnico e normativo, il progetto si trova in una fase preliminare. Gli sviluppatori non hanno ancora completato uno studio FEED (Front-End Engineering Design), passaggio essenziale per definire costi, impatti ambientali e modalità di esecuzione. Secondo le fonti, lo studio dovrebbe iniziare entro la fine dell’anno, ma la mancanza di accordi vincolanti rende difficile stimare i tempi di avvio dei lavori.
Sotto il profilo legale, sarà necessario affrontare complessi iter autorizzativi a livello federale e statale, con particolare attenzione alle implicazioni ambientali, ai diritti delle comunità locali e alle normative sulle terre indigene. Gli aspetti legati al diritto dell’innovazione e alla compliance ESG potrebbero rappresentare ulteriori barriere o, al contrario, catalizzatori per gli investitori istituzionali.
Implicazioni geopolitiche e industriali
Il gasdotto dell’Alaska assume un valore strategico anche sul piano geopolitico. L’Artico, sempre più accessibile a causa del cambiamento climatico, si sta configurando come una nuova frontiera della competizione energetica globale. Il vertice del 2 giugno sarà propedeutico anche a definire un’agenda di cooperazione tecnologica e industriale tra gli Stati Uniti e i partner asiatici per progetti comuni nella regione artica.
Gli Stati Uniti puntano a rafforzare le relazioni bilaterali offrendo accesso privilegiato a risorse energetiche e tecnologie americane, in cambio di impegni di lungo termine. Tuttavia, la scarsa chiarezza sui piani regolatori e sull’inquadramento fiscale dell’operazione potrebbe frenare l’interesse dei grandi player asiatici, già impegnati in una difficile transizione energetica interna.
Un banco di prova per la nuova politica industriale USA
Il meeting in Alaska si inserisce in una più ampia strategia di reindustrializzazione e reshoring energetico promossa dall’ex presidente Trump e sostenuta, in parte, anche dall’attuale amministrazione. È un test per la capacità degli Stati Uniti di attrarre capitali esteri in progetti ad alta intensità tecnologica, in un contesto globale segnato da tensioni commerciali, crisi energetiche e accelerazione delle politiche di decarbonizzazione.
Il successo dell’iniziativa dipenderà dalla capacità di costruire un quadro giuridico e finanziario trasparente, affidabile e in linea con le esigenze di un mercato globale sempre più competitivo e sostenibile.