Dopo le restrizioni imposte ad aprile, la Cina concede le prime autorizzazioni all’esportazione di magneti in terre rare. I destinatari sono clienti europei e vietnamiti. Sullo sfondo, la dipendenza industriale dell’Occidente e le tensioni della geoeconomia globale.
Pechino ha rilasciato le prime licenze di esportazione di magneti in terre rare a quattro produttori cinesi, tra cui fornitori diretti del gruppo Volkswagen, segnando un parziale allentamento delle restrizioni imposte il mese scorso. La notizia, riportata da fonti industriali riservate, rappresenta un segnale importante: i flussi di materiali critici potrebbero proseguire, ma all’interno di un perimetro selettivo e controllato.
Tra i beneficiari figurano Baotou Tianhe Magnetics, Zhongke Sanhuan, Baotou INST Magnetic e Earth-Panda Advanced Magnetic Material — tutti attori strategici nella catena globale di fornitura di magneti ad alte prestazioni, utilizzati in motori elettrici, tecnologie difensive e sistemi di energia rinnovabile.
Export condizionato: priorità a clienti UE e Vietnam
Le licenze sono state rilasciate su base nominativa per singolo cliente, e, secondo le fonti, al momento riguardano solo acquirenti europei e vietnamiti. Volkswagen ha confermato a Reuters di essere in stretto contatto con i propri fornitori e di aver ricevuto conferme informali circa la concessione delle licenze, senza però fornire ulteriori dettagli pubblici. Una fonte ha aggiunto che il costruttore tedesco avrebbe attivato direttamente canali diplomatici con Pechino per favorire l’autorizzazione.
La concessione anticipa di poco la tregua commerciale raggiunta tra Cina e Stati Uniti il lunedì precedente, ma rappresenta comunque una prima apertura, in controtendenza con le aspettative del settore che prefiguravano una sospensione prolungata delle esportazioni.
Una risposta al protezionismo tecnologico e alla pressione multilaterale
Le restrizioni iniziali imposte dalla Cina a sette elementi delle terre rare — in risposta a precedenti dazi statunitensi — avevano suscitato preoccupazione diffusa tra le aziende occidentali, evidenziando ancora una volta la fortissima dipendenza globale dal colosso asiatico per il trattamento e la raffinazione di 17 elementi critici, impiegati in settori chiave come auto elettriche, aerospazio, elettronica e difesa.
L’intervento diretto di Volkswagen e di altri attori industriali occidentali dimostra quanto le filiere siano oggi fragili, geopoliticamente esposte e sprovviste di alternative consolidate. Nonostante i tentativi di diversificazione in atto — come l’espansione australiana, le iniziative europee di reshoring o i partenariati africani — la Cina continua a detenere oltre l’85% della capacità mondiale di raffinazione delle terre rare.
Implicazioni per la politica industriale e l’autonomia strategica europea
L’episodio sottolinea l’urgenza di ripensare le catene del valore critiche all’interno delle strategie europee di sovranità tecnologica e autonomia industriale. Non si tratta solo di acquisire materie prime, ma di costruire un sistema industriale capace di trasformarle, valorizzarle e integrarle nei settori strategici — dall’e-mobility all’intelligenza artificiale, dalla robotica alla difesa.
Sotto il profilo giuridico e regolatorio, la crescente frammentazione del commercio globale e l’impiego strumentale delle licenze di esportazione pongono nuove sfide per il diritto del commercio internazionale, la compliance doganale e le politiche industriali coordinate.
Licenze come strumento di pressione e diplomazia industriale
Le licenze concesse dalla Cina non rappresentano una normalizzazione, ma un segnale strategico: i flussi continueranno solo dove esiste un equilibrio geopolitico compatibile. Mentre l’Occidente cerca di ricostruire un’autonomia industriale a lungo ignorata, Pechino sfrutta il proprio vantaggio tecnologico come leva negoziale.
L’accesso alle terre rare non è più soltanto un tema di approvvigionamento: è ormai un indice della forza contrattuale tra economie interdipendenti, ma sempre più in competizione.