Il progetto “custody layer” guidato da Elon Musk promette un nuovo modello di difesa basato su satelliti e intelligenza artificiale, come riporta Reuters. Tra opportunità strategiche, modelli di business inediti e ombre regolatorie, gli equilibri dell’industria militare USA potrebbero cambiare radicalmente.
Il piano strategico del presidente Donald Trump per la costruzione del sistema di difesa missilistica Golden Dome potrebbe segnare un punto di svolta epocale nell’interazione tra Silicon Valley e il complesso militare-industriale americano. Secondo fonti vicine ai negoziati, una coalizione guidata da SpaceX, in partnership con Palantir Technologies e il costruttore di droni Anduril, sarebbe in vantaggio per aggiudicarsi una delle componenti più cruciali del progetto: il cosiddetto “custody layer”, una rete satellitare dedicata all’intercettazione e tracciamento di missili balistici in tempo reale.
Una nuova era per la difesa statunitense: intelligenza artificiale, cloud e satelliti in orbita bassa
Il progetto, la cui struttura è ancora in fase embrionale, prevede la messa in orbita di 400 a oltre 1.000 satelliti di sorveglianza, destinati a rilevare minacce in arrivo verso gli Stati Uniti. A questi si aggiungerebbe una flotta secondaria di circa 200 satelliti armati – dotati di missili o laser – in grado di neutralizzare gli ordigni in volo. SpaceX, secondo le fonti, non si occuperebbe della parte offensiva, ma solo del segmento di rilevamento e tracciamento.
La proposta è il risultato della crescente sinergia tra tecnologie emergenti e applicazioni militari: algoritmi predittivi, architetture distribuite, edge computing e infrastrutture cloud convergono per formare un sistema di allerta precoce totalmente digitalizzato, in netta rottura rispetto ai paradigmi tradizionali dell’antimissilismo.
Modello in abbonamento: il “Defense-as-a-Service” solleva interrogativi legali e politici
Uno degli aspetti più controversi della proposta SpaceX è la volontà di offrire il sistema in modalità subscription-based, ovvero come servizio accessibile con canone periodico, anziché come asset posseduto direttamente dal governo federale. Questo approccio, pur tecnicamente legittimo, eluderebbe alcune procedure classiche di procurement del Pentagono, garantendo maggiore rapidità nell’implementazione ma riducendo il controllo diretto del governo su aggiornamenti, sicurezza e pricing.
Funzionari del Dipartimento della Difesa hanno espresso preoccupazioni interne circa la dipendenza tecnologica da un fornitore privato per una componente così strategica. L’alternativa sarebbe un modello ibrido, in cui lo Stato detiene la proprietà dell’infrastruttura, ma ne affida la gestione operativa a soggetti privati come SpaceX.
Geopolitica, conflitti d’interesse e il peso politico della Silicon Valley
Il progetto Golden Dome è stato definito dal presidente Trump come una priorità strategica nazionale, sottolineando in un ordine esecutivo di gennaio che “un attacco missilistico rappresenta la minaccia più catastrofica per gli Stati Uniti”.
Tuttavia, la composizione del consorzio SpaceX-Palantir-Anduril solleva anche interrogativi di opportunità politica e conflitto d’interessi: tutti e tre i fondatori sono donatori di lungo corso del Partito Repubblicano e sostenitori di Trump. Elon Musk, in particolare, è attualmente consigliere speciale della Casa Bianca per l’efficienza del governo.
Le discussioni tra i dirigenti delle tre aziende e le massime cariche del Pentagono e della National Security Council sono avvenute in modo informale e diretto, secondo quanto riferito da più fonti, in una dinamica che alcuni insider definiscono “senza precedenti nella storia recente del procurement militare USA”.
Una sfida ai contractor storici: la Silicon Valley entra nel cuore del comparto difesa
Se SpaceX si aggiudicasse il contratto, si tratterebbe del più grande successo di sempre per un gruppo tecnologico privato nella difesa americana, scalzando player storici come Northrop Grumman, Lockheed Martin, Boeing e RTX (ex Raytheon). Tuttavia, questi colossi restano candidati forti per altri componenti del Golden Dome, come i sistemi di armamento, di controllo e di comando.
Secondo fonti interne, oltre 180 aziende hanno espresso interesse formale per partecipare al progetto. Tra queste, nomi emergenti come Epirus, Ursa Major e Armada. Il Dipartimento della Difesa ha imposto deadline ravvicinate: le prime capacità operative dovranno essere pronte entro il 2026, con completamento previsto dopo il 2030.
Opportunità e rischi del nuovo modello di difesa high-tech
Il Golden Dome non è soltanto un progetto militare: è un test di sistema per comprendere se le tecnologie della Silicon Valley possano davvero essere affidabili, scalabili e sicure in scenari ad altissima criticità geopolitica. Se da un lato SpaceX vanta capacità uniche di lancio e produzione satellitare (grazie alla sua esperienza con Falcon 9 e Starlink), dall’altro resta da dimostrare la capacità di integrare un sistema complesso e vitale in modo sostenibile e trasparente.
La sfida non è solo tecnologica, ma etica, normativa e strategica. La militarizzazione dell’orbita bassa e la privatizzazione dei sistemi di difesa pongono interrogativi destinati a ridefinire gli equilibri del potere tra Stato, industria e cittadino.