Altro che switch-off! Meglio interrompere una falsa narrazione che nasconde il doppio fallimento, infrastrutturale ed economico

| 10/04/2025

La narrazione attuale non può nascondere il doppio fallimento di Open Fiber: infrastrutturale ed economico. Le case? Non vengono collegate. Lo switch-off? Non è praticabile. I conti? Non tornano. Cosa serve? Che la fibra arrivi davvero nelle case degli italiani, vista anche la notevole quantità di fondi pubblici italiani ed europei già spesi e quelli che rischiano di andare in fumo.

Giuseppe Gola, amministratore delegato di Open Fiber, continua a dipingere un quadro ottimistico sull’avanzamento della fibra ottica in Italia, celebrando il presunto completamento dei lavori nelle cosiddette Aree bianche, il recente rifinanziamento dell’azienda e la strategia di switch-off dalla rete in rame.
Tuttavia, dietro queste affermazioni positive si cela una realtà più complessa e meno confortante, che si può sintetizzare in poche parole: la fibra sarà anche arrivata in molte zone del Paese, ma resta ancora fuori da troppe abitazioni.
E così, Open Fiber mostra non soltanto un ritardo infrastrutturale significativo, ma anche evidenti limiti economici ed una gestione per essere gentili a dire poco opaca.

Lo switch-off? Una richiesta che non sta in piedi

Lo switch-off evocato con insistenza ossessiva da Giuseppe Gola, AD di Open Fiber, sembra più un alibi che una soluzione.
Continuare a parlare della necessità di incentivare la migrazione dalla rete in rame alla fibra ottica elude la questione fondamentale e cioè che moltissimi edifici non sono realmente collegati alla rete in fibra.
Non basta disattivare la vecchia rete per spingere cittadini e imprese ad adottare la nuova tecnologia, specialmente se la rete in fibra arriva soltanto fino alla strada, senza penetrare effettivamente nelle abitazioni.

Intanto la fibra italiana langue

Questo scenario si traduce in un tasso di attivazione della fibra italiana tra i più bassi d’Europa, un problema certamente non attribuibile alla resistenza culturale degli utenti, bensì a una mancanza strutturale nell’offerta di fibra pronta per essere usata dall’utente finale.

La narrazione della “copertura al 100%” nelle Aree bianche è anch’essa fuorviante. E la ragione è molto semplice: una cosa è la copertura teorica, altra cosa è quella reale.

Come si fa a reclamare il successo di copertura semplicemente contando i chilometri di cavi posati, senza preoccuparsi volutamente delle connessioni effettivamente attivate e funzionanti?

Non è un problema di voucher o incentivi

È inoltre un ulteriore elemento di confusione scaricare le responsabilità esclusivamente sulla mancanza di voucher o sugli incentivi governativi.

Open Fiber ha avuto a disposizione anni e miliardi di euro per sviluppare la rete, ma i risultati sono stati inferiori alle aspettative, anche a causa di scelte industriali discutibili a seguito dell’uscita dell’ENEL dall’azionariato di Open Fiber e delle lentezze operative e le difficoltà nel dialogo con gli operatori commerciali che trovano difficile se non impossibile offrire sul mercato connessioni che in realtà non sono disponibili.

E poi ci sono gli economics

A ciò si aggiunge una pesante questione economica.
Nonostante gli ingenti investimenti pubblici e privati, Open Fiber continua a registrare perdite, con un rosso dichiarato di 364 milioni di euro e una previsione di break-even non prima del 2028.
Questa situazione riflette una realtà finanziaria preoccupante.
L’azienda dipende, infatti, da continue ricapitalizzazioni, come l’ultima effettuata da Cassa Depositi e Prestiti e Macquarie e l’aiuto di Stato previsto dal Governo di ulteriori 660 milioni di euro tra il 2027 e il 2029, aiuto peraltro non notificato a Bruxelles. Appare del tutto evidente come si tratti di un modello di business basato su iniezioni ricorrenti di capitali pubblici e privati, un modello chiaramente insostenibile.
Inoltre, il ritorno sugli investimenti finora realizzati è stato deludente.
Nonostante una copertura teorica solo apparentemente alta, l’effettiva adozione della fibra rimane bassa, determinando flussi di cassa insufficienti e allungando ulteriormente il recupero degli investimenti.

Il caso Starlink e la fibra

Infine, appare miope e rischiosa la sottovalutazione di tecnologie alternative come Starlink.
Liquidarla come semplice “complemento” ignora una realtà già presente: mentre la fibra fatica a raggiungere molte aree del Paese, Starlink offre già connessioni efficienti nelle zone rurali e periferiche.

In sintesi, la narrazione attuale non può nascondere il doppio fallimento di Open Fiber, infrastrutturale ed economico. L’Italia non ha più bisogno di autocelebrazioni, ma di soluzioni concrete: serve che la fibra arrivi davvero nelle case degli italiani vista anche la notevole quantità di fondi pubblici italiani ed europei già spesi.

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