L’aumento delle tariffe doganali imposte dagli Stati Uniti sotto la nuova amministrazione Trump sta innescando una trasformazione strutturale della geografia manifatturiera globale, con conseguenze significative per l’industria tecnologica. In prima linea c’è Luxshare Precision Industry, uno dei principali fornitori cinesi di Apple, che sta valutando il trasferimento di parte della produzione fuori dalla Cina per contenere l’impatto delle misure protezionistiche americane, come riporta in esclusiva Reuters.
La presidente Wang Laichun ha confermato che l’azienda è in trattativa con diversi clienti – inclusi big del tech – per l’apertura di stabilimenti altamente automatizzati in Nord America, una mossa che segnerebbe una svolta nella strategia industriale asiatica e un chiaro segnale di adattamento alle nuove tensioni geopolitiche.
Dazi, supply chain e ridefinizione della mappa produttiva
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha comportato un inasprimento dei dazi sulle importazioni tecnologiche da Paesi asiatici, incluso il Vietnam, storicamente rifugio per le aziende che cercavano di ridurre la dipendenza dalla Cina. Le nuove tariffe sul made in Vietnam – ora al 46% – hanno spinto Luxshare a rivedere i propri piani di espansione nella regione, orientando le prossime mosse verso il Messico, gli Stati Uniti e altri hub del Sud-Est asiatico con condizioni commerciali più favorevoli.
Luxshare e Apple: la simbiosi sotto pressione
Luxshare è un attore chiave nella catena di fornitura Apple: produce componenti per AirPods, Apple Watch e parti critiche per iPhone e MacBook. La possibilità che sposti parte delle sue linee produttive in Nord America potrebbe avere un impatto strategico anche per Cupertino, che da tempo cerca di diversificare la sua base manifatturiera per ridurre l’esposizione ai rischi politici e doganali tra Stati Uniti e Cina.
Ma non è tutto: la presidente Wang ha anche sottolineato che, in un contesto di costi crescenti, i fornitori non sono disposti ad assorbire le nuove tariffe, segnalando che l’onere ricadrà inevitabilmente su clienti e consumatori. Un messaggio chiaro al mercato: i prezzi dei prodotti tech, dagli smartphone alle periferiche, potrebbero aumentare.
Produzione high-tech, reshoring e automazione
Il modello in discussione tra Luxshare e i suoi partner americani prevede impianti fortemente automatizzati, in grado di competere in efficienza con quelli asiatici. Questo evidenzia una tendenza sempre più marcata nel settore manifatturiero globale: il ritorno della produzione nei paesi sviluppati sarà sostenibile solo se integrato con tecnologie di automazione avanzate, intelligenza artificiale e robotica.
In questo scenario, Luxshare si propone non solo come assemblatore, ma come fornitore tecnologico integrato, con R&D e capacità ingegneristiche già presenti in Messico, Stati Uniti, Malesia, Thailandia e Vietnam.
Geopolitica delle filiere: la nuova corsa al decoupling
L’evoluzione di Luxshare è un riflesso diretto della strategia di decoupling tra Stati Uniti e Cina. In un contesto segnato da tensioni su semiconduttori, AI e sovranità digitale, la manifattura tech diventa un campo di battaglia economico e politico. La decisione delle imprese di spostare la produzione assume quindi una valenza che va ben oltre i costi logistici o di manodopera: è una scelta geopolitica.
La progressiva regionalizzazione della produzione, sostenuta anche da incentivi fiscali e politiche industriali locali, potrebbe ridisegnare la globalizzazione in chiave multipolare, con hub manifatturieri distinti tra blocchi commerciali rivali: USA, Cina, ASEAN, India e America Latina.
Luxshare si muove con pragmatismo, adattandosi a uno scenario frammentato e incerto. Ma il suo caso è emblematico di una nuova fase per la catena globale del valore tecnologico: flessibilità, automazione e resilienza stanno diventando le parole chiave per sopravvivere e prosperare in un’epoca in cui la politica commerciale è tornata ad essere un fattore determinante per il business globale.