Negli ultimi anni, l’Europa si è ritrovata intrappolata in un periodo di stagnazione economica. Mentre molti puntano il dito contro fattori esterni, come le tensioni commerciali con gli Stati Uniti, il vero problema è molto più vicino a casa.
Di fatto, l’Europa ha imposto tariffe a sé stessa, non attraverso dazi ufficiali su importazioni ed esportazioni, ma attraverso una rete intricata di regolamentazioni interne, politiche frammentate e opportunità mancate. La domanda ora è: come può il continente liberarsi da questa stagnazione autoimposta?
Le barriere nascoste all’interno dell’Europa
Il mercato unico europeo è spesso descritto come uno dei suoi maggiori successi. È stato concepito per garantire la libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali tra gli Stati membri. Tuttavia, al di sotto della superficie, esistono innumerevoli barriere invisibili che funzionano come dazi. Regole diverse, standard variabili e un’applicazione incoerente creano costi inutili per le imprese e scoraggiano gli investimenti transfrontalieri.
Mario Draghi, nel suo recente editoriale, evidenzia questo problema, sostenendo che queste barriere interne stanno soffocando la crescita dell’Europa. La sua soluzione proposta? Rimuovere questi ostacoli, semplificare le regolamentazioni e creare un ambiente più favorevole all’innovazione. Superficialmente, sembra logico. Ma è davvero così semplice?
Se guardiamo più da vicino, vediamo un possibile rischio. Le regolamentazioni spesso esistono per buone ragioni: proteggere i consumatori, garantire una concorrenza leale e assicurare stabilità in settori critici come finanza, sanità e tecnologia. Rimuovere queste tutele senza un piano chiaro potrebbe avere conseguenze indesiderate. Quello di cui l’Europa ha bisogno, quindi, non è una deregolamentazione indiscriminata, ma riforme più intelligenti e mirate.
Il contesto globale: le tariffe non sono solo un problema interno
Draghi minimizza il ruolo dei fattori esterni, suggerendo che la sfida principale dell’Europa è interna. Tuttavia, la realtà è più complessa. I dazi imposti dagli Stati Uniti su acciaio europeo, alluminio e vari beni industriali avranno un impatto significativo. Queste misure interromperanno le catene di approvvigionamento, aumentando i costi e indebolendo la competitività di settori chiave.
Ignorare queste pressioni esterne lascia l’Europa vulnerabile a ulteriori shock.
L’UE deve adottare un approccio duplice: sì, deve sistemare il proprio mercato interno, ma ha anche bisogno di una strategia commerciale globale più intelligente e assertiva. Rafforzare le partnership con le economie emergenti, in particolare in Asia, potrebbe aprire nuove vie di crescita e ridurre la dipendenza da mercati più volatili.
Innovazione e il dilemma delle regolamentazioni
Draghi sottolinea giustamente l’importanza dell’innovazione. L’Europa, nonostante la sua eccellenza accademica e le capacità di ricerca, è spesso in ritardo quando si tratta di trasformare idee in prodotti leader di mercato. Egli suggerisce che l’eccesso di regolamentazioni fa parte del problema.
C’è del vero in questo. Il processo di avviare una startup tecnologica in Europa può essere più gravoso rispetto agli Stati Uniti o alla Cina. Tuttavia, c’è anche il rischio di spingersi troppo nella direzione opposta. Regolamentazioni come il Digital Services Act hanno dimostrato che regole intelligenti e ben concepite possono favorire l’innovazione proteggendo allo stesso tempo consumatori e mercati.
Un percorso migliore potrebbe prevedere la creazione di Zone di Innovazione Europee, aree specifiche dove le regole sono temporaneamente rilassate per consentire una rapida sperimentazione di nuove tecnologie come AI, 5G e robotica. Questo potrebbe dare alle aziende europee la flessibilità di innovare senza esporre il mercato più ampio a rischi inutili.
Perché la domanda conta più di quanto si pensi
Draghi attribuisce la debolezza della domanda europea a errori di politica seguiti alla crisi finanziaria del 2008. Sebbene ci sia del vero in questa argomentazione, essa trascura questioni più profonde e strutturali. L’Europa si trova ad affrontare una popolazione che invecchia, una stagnazione salariale e disparità significative di reddito tra le regioni.
Senza affrontare questi fattori, nessuna deregolamentazione sarà sufficiente per riaccendere la domanda. Quello di cui l’Europa ha bisogno è una politica fiscale più proattiva. Questo significa ripensare le regole di bilancio dell’UE per consentire maggiori investimenti in infrastrutture, istruzione e tecnologie verdi. Investire in questi ambiti può stimolare la domanda creando al contempo le basi per una crescita a lungo termine.
Inoltre, i responsabili politici dovrebbero considerare misure per aumentare i redditi delle famiglie. Una crescita salariale, allineata ai guadagni di produttività, può incrementare il potere d’acquisto e stimolare i consumi. Entrambi cruciali per un’espansione economica sostenuta.
Ripensare la strategia industriale dell’Europa
Il settore industriale europeo rimane frammentato. I paesi spesso perseguono strategie nazionali che ignorano il quadro più ampio dell’Europa. L’appello di Draghi a eliminare le barriere interne affronta solo una parte del problema, ma serve di più.
L’UE potrebbe beneficiare di una strategia industriale paneuropea, concentrandosi su settori ad alto potenziale di crescita, come semiconduttori, energie rinnovabili e veicoli elettrici. Questo richiederebbe una cooperazione più profonda tra governi, imprese e istituzioni di ricerca. Fondi per l’innovazione congiunti potrebbero supportare progetti su larga scala che nessun paese da solo potrebbe intraprendere.
Prendiamo, ad esempio, la transizione verso l’energia verde. L’Europa ha obiettivi climatici ambiziosi, ma i progressi sono disomogenei tra gli Stati membri. Coordinare gli investimenti in infrastrutture per tecnologie pulite potrebbe accelerare la transizione, creando al contempo nuovi posti di lavoro e opportunità economiche.
Coesione sociale: l’ingrediente spesso ignorato per la crescita
La crescita economica riguarda più dei semplici numeri; riguarda le persone. Draghi menziona l’importanza dell’unità politica, ma non approfondisce come ottenerla. La verità è che le politiche economiche, se non ben studiate, rischiano di approfondire le divisioni sociali.
L’Europa deve garantire che la sua strategia di crescita avvantaggi tutti i cittadini, non solo alcune regioni o settori. Investire nell’istruzione digitale, soprattutto nelle regioni meno sviluppate, può dotare la forza lavoro delle competenze per il futuro. Inoltre, iniziative come un Dividendo Sociale Europeo—dove parte dei guadagni derivanti dai progressi tecnologici viene ridistribuita—potrebbero aiutare a costruire il sostegno pubblico per le riforme necessarie.
Guardando avanti: una roadmap per il futuro dell’Europa
Allora, cosa dovrebbe fare l’Europa? Semplicemente rimuovere le regolamentazioni, come suggerisce Draghi, potrebbe dare un impulso a breve termine, ma non è una soluzione a lungo termine. Invece, il continente ha bisogno di un approccio più equilibrato e lungimirante.
Ecco una possibile roadmap:
- Regolamentazione intelligente: semplificare le regole dove possibile, ma mantenere il controllo in aree critiche.
- Zone di innovazione mirate: creare spazi per la sperimentazione nei settori high-tech.
- Partnership globali più forti: collaborare con economie come la Cina sulle infrastrutture digitali e l’energia pulita.
- Politiche fiscali proattive: riformare le regole di bilancio dell’UE per consentire investimenti favorevoli alla crescita.
- Iniziative per una crescita inclusiva: investire in istruzione e programmi sociali per ridurre le disuguaglianze.
Una nuova visione per l’Europa
L’Europa è a un bivio. Le barriere interne che Draghi evidenzia sono reali, ma la soluzione non è solo la deregolamentazione. Si tratta di azioni intelligenti e strategiche che bilanciano innovazione, regolamentazione, coesione sociale e coinvolgimento globale.
Se l’Europa riuscirà ad adottare questo approccio equilibrato, non solo rimuoverà i suoi dazi autoimposti, ma si posizionerà come leader nell’economia globale per decenni a venire.