Dalla maxi offerta per gli asset di OpenAI ai documenti contesi con Meta, il duello tra Elon Musk e Sam Altman si sposta nelle aule di tribunale. Una battaglia che intreccia diritto, finanza e politica industriale, e che potrebbe ridisegnare gli equilibri globali dell’intelligenza artificiale.
Una disputa che va oltre il tribunale
La vicenda giudiziaria che contrappone Elon Musk a OpenAI non è solo un contenzioso legale. È lo specchio delle tensioni profonde che attraversano l’industria dell’intelligenza artificiale, tra ideali originari di ricerca aperta, competizione feroce per il capitale e la tecnologia, e scontri personali fra i protagonisti. L’ultimo capitolo riguarda la richiesta di OpenAI a Meta di produrre documenti legati alla maxi offerta da 97,4 miliardi di dollari con cui Musk avrebbe tentato di acquisire gli asset della società. La reazione di Musk — attraverso i suoi avvocati — è stata immediata: bloccare il coinvolgimento di Meta e limitare il perimetro della “discovery” documentale.
La posta in gioco: 97 miliardi o un’arma tattica?
L’offerta di Musk non era soltanto un’operazione finanziaria di proporzioni eccezionali. In molti, dentro e fuori le aule dei tribunali, la leggono come un gesto strategico, forse addirittura teatrale, destinato a destabilizzare OpenAI più che a concretizzarsi in un’acquisizione. Il valore stesso — vicino ai 100 miliardi — suggerisce più una mossa politica che industriale. Per OpenAI, oggi sostenuta da Microsoft e altri partner globali, l’idea che un ex cofondatore tenti di minarne la stabilità con proposte “sham” (finte) costituisce un attacco diretto non solo alla governance, ma alla reputazione sul mercato.
La strategia difensiva di Musk
Gli avvocati del patron di Tesla e SpaceX hanno sostenuto che OpenAI possieda già documenti forniti sia da Musk sia da xAI, la sua nuova creatura nel campo dell’intelligenza artificiale. Secondo la difesa, le ulteriori richieste a Meta non sarebbero altro che un modo per allargare lo spettro dell’indagine, rendendola “espansiva” e poco pertinente alla fase processuale attuale. Dietro questo approccio c’è una logica ben precisa: limitare l’accesso dell’avversario a informazioni sensibili che potrebbero avere conseguenze non solo giudiziarie, ma anche industriali, rivelando strategie e interlocuzioni con potenziali co-investitori come Mark Zuckerberg.
La controffensiva di OpenAI
OpenAI e i legali di Sam Altman hanno ribaltato la narrativa, sostenendo che le loro richieste non siano né vaste né intrusive, ma focalizzate su un arco temporale ristretto, “settimane, non anni”. La loro linea è chiara: se i contatti tra Musk e i suoi potenziali alleati sono avvenuti principalmente in forma orale, allora è ancora più necessario procedere con deposizioni dirette — di Musk, di rappresentanti di xAI e di eventuali co-offerenti. Questa posizione solleva un punto cruciale: in un settore in cui le decisioni miliardarie spesso nascono da incontri informali e call riservate, la prova orale diventa tanto strategica quanto quella documentale.
Il ruolo del giudice e la cornice giuridica
La giudice federale Yvonne Gonzalez Rogers, lo scorso agosto, ha stabilito che Musk dovrà affrontare in aula le accuse di OpenAI. Secondo l’interpretazione dei giudici, attraverso comunicati stampa, post social e la presunta “falsa offerta”, Musk avrebbe deliberatamente cercato di danneggiare l’azienda che ha contribuito a fondare. Il processo, fissato per la primavera del 2026, si annuncia come un evento mediatico e industriale di portata globale, con potenziali ripercussioni sull’intero ecosistema dell’AI. La giurisprudenza americana si trova così a dover definire i confini tra concorrenza aggressiva, tentativi di sabotaggio e diritto legittimo alla competizione.
Economie e strategie industriali nell’AI
La disputa non si limita ai tribunali: è un caso di scuola di politica industriale privata. OpenAI, sostenuta da Microsoft, rappresenta un polo consolidato dell’AI a fini commerciali, mentre Musk con xAI incarna l’outsider determinato a creare un’alternativa, anche a costo di minare i competitor. Il tema dei documenti Meta è un tassello di un mosaico più ampio: chi controlla dati, finanziamenti e partnership determina la velocità e la direzione dello sviluppo tecnologico. In questo senso, la battaglia legale riflette la lotta per il controllo dei nodi strategici della supply chain digitale.
Implicazioni geopolitiche e reputazionali
L’eco di questa disputa va oltre gli Stati Uniti. In Europa, dove il dibattito sull’AI Act procede tra cautele e ambizioni regolatorie, il caso viene visto come prova della necessità di regole chiare sulla trasparenza e sulla responsabilità delle big tech. In Asia, dove Cina e Corea del Sud stanno consolidando i loro campioni nazionali nell’AI, la vicenda è osservata come una dimostrazione della fragilità del fronte occidentale, diviso da guerre legali interne. La reputazione stessa dell’AI come tecnologia di fiducia rischia di essere intaccata: se i protagonisti si affrontano a colpi di cause miliardarie, quale messaggio arriva a governi, investitori e cittadini?
Molto più di una causa civile
La disputa legale fra Musk e OpenAI non è solo un caso giudiziario, ma una metafora della nuova guerra industriale dell’AI. La richiesta di documenti a Meta, il ruolo di xAI, l’offerta da 97 miliardi e il contrattacco legale di Altman sono tasselli di un conflitto che mescola rivalità personale, strategie di mercato e scontro regolatorio.
Il processo del 2026 rischia di non essere solo un verdetto tra due parti, ma una sentenza che definisca i confini futuri della concorrenza nell’intelligenza artificiale. In gioco non c’è solo la reputazione di Musk o di OpenAI, ma la credibilità dell’intero settore tecnologico in un’epoca in cui la governance dell’AI è diventata questione di politica economica, industriale e geopolitica globale.